Inammissibili: così la Corte costituzionale ha definito i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promossi dalle Regioni sulla questione delle trivellazioni offshore.

I ricorsi, che riguardavano la «pianificazione delle attività estrattive degli idrocarburi» e la «prorogabilità dei titoli abilitativi a tali attività», erano stati sollevati – da Basilicata, Puglia, Marche, Liguria, Sardegna e Veneto – nei confronti del presidente del Consiglio, del Parlamento e dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione.

La Consulta li ha bocciati perché – come si legge nella decisione – «non è stata espressa la volontà di sollevare detti conflitti da almeno cinque dei Consigli regionali che avevano richiesto il referendum prima delle modifiche legislative sopravvenute». In sostanza i Consigli regionali avrebbero dovuto deliberare in tal senso, ma non l’hanno fatto, per mancanza di tempo. Intoppo procedurale, che ha generato l’alt dei giudici.

«Rispetto per la decisione della Corte Costituzionale, anche perché questa sentenza fa giurisprudenza nel caso in cui le Regioni, attraverso l’articolo 75 della Costituzione, dovessero attivare iniziative referendarie – afferma Piero Lacorazza, presidente del Consiglio regionale della Basilicata – ma si era davanti a un percorso inedito, e i tempi erano molto stretti per attivare procedure che riapprodassero nei Consigli regionali. Tuttavia, non siamo di fronte a un giudizio di merito, e quindi non sapremo mai se, con le modifiche alla legge di Stabilità, sono stati elusi i quesiti sul Piano delle aree e sulla durata delle concessioni».

«La decisione solleva perplessità, in quanto, mentre a gennaio la Corte ha ammesso la costituzione in giudizio del delegato regionale abruzzese per conto del Consiglio e contro le altre nove regioni senza che alle spalle vi fosse una previa delibera del Consiglio regionale, oggi ritiene che i delegati regionali – che pure costituiscono nell’insieme il comitato promotore del referendum – non possano agire senza che vi sia un previo atto di autorizzazione delle rispettive assemblee regionali», dichiara Enzo di Salvatore, costituzionalista ed estensore dei quesiti referendari.

Il pronunciamento della Corte non incide in alcuna maniera sul referendum in programma per il prossimo 17 aprile, quando si andrà alle urne per dire la propria sulla durata delle concessioni per ricerca ed estrazione di greggio e gas entro le 12 miglia dalla costa.

Intanto le Regioni Puglia e Veneto vanno avanti testarde e hanno annunciato che domani «saranno depositati ricorsi di legittimità costituzionale sugli articoli della legge di Stabilità che riguardano proprio queste questioni e, tra aprile e maggio, la Consulta ha già in calendario il contenzioso».

Sul referendum, intanto, si spacca la Cgil. Il segretario nazionale dei chimici, Emilio Miceli, dice che «in un mondo attraversato dall’ombra della guerra e con il rischio di un coinvolgimento fortissimo dell’Italia, sarebbe un errore strategico, fatale per il nostro Paese vietare l’estrazione di idrocarburi». E ancora: «Ci saranno imprese che chiuderanno. Rischiamo di perdere migliaia di posti di lavoro». La Fiom, invece, fa parte del Comitato nazionale “Vota sì per fermare le trivelle”.