Come volevasi dimostrare. Ieri migliaia di contadini della Coldiretti giunti da tutta Italia hanno manifestato al confine del Brennero. Hanno fermato i camion provenienti dall’Austria. Li hanno aperti e hanno trovato cosce di maiale senza timbro di provenienza e altri prodotti alimentari esteri pronti ad essere lavorati in Italia e rivenduti con il marchio Made in Italy. Si sono organizzati con trattori e camper e hanno allestito una tenda per difendersi dal freddo e offrire i loro prodotti tipici. Hanno scritto su cartelli e striscioni la sofferenza di un settore di eccellenza schiacciato dai metodi, anche truffaldini, del mercato agroalimentare: «625 mila maiali in meno in Italia», «Il falso prosciutto italiano ha fatto perdere il 10% dei posti di lavoro». L’hanno chiamata «Battaglia di Natale», un’altra manifestazione è andata in piazza a Reggio Emilia e oggi la Coldiretti sarà a Montecitorio con tanto di maiali al seguito.
«Solo nell’ultimo anno – ha denunciato Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti – sono scomparse 32.500 stalle e aziende agricole e persi 36 mila occupati. Stiamo svendendo un patrimonio sul quale costruire una riprese economica sostenibile e duratura che fa bene all’economia, all’ambiente e alla salute». Dall’inizio della crisi in totale hanno chiuso 140 mila aziende. «L’invasione di materie prime estere – ha continuato Moncalvo – spinge prima alla svendita agli stranieri dei nostri marchi più prestigiosi e poi alla delocalizzazione».
Sul Brennero ha voluto esserci anche il ministro dell’Agricoltura Nunzia De Girolamo (Ncd). Ha sostenuto l’importanza di tutelare i prodotti italiani attraverso la tracciabilità per proteggere agricoltori e consumatori. Peccato che l’Italia si sia già dotata di una legge sull’etichettatura ma che non siano mai stati approvati i decreti attuativi. E peccato che Confindustria si sia detta «sconcertata» per il comportamento del ministro che avrebbe dimostrato di non conoscere le norme europee a tutela del libero mercato e contro il protezionismo. Anche Federalimentare ha definito la manifestazione «ambigua, protezionistica e pericolosa».
Qui, però, il proibizionismo non c’entra nulla. Le grande industrie hanno la tendenza e l’interesse a sfruttare contemporaneamente il marchio Made in Italy e i contadini italiani truffando i consumatori in una continua rincorsa a livelli di produzione insostenibili e a prezzi sempre più bassi. Tutto a discapito della qualità dei prodotti e della salute dei territori e delle persone. E così ben il 33% dei prodotti agroalimentari italiani contiene materie prime straniere. Due prosciutti su tre sono venduti come italiani ma sono fatti con maiali allevati all’estero, tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro sono stranieri senza indicazione sull’etichetta, un terzo della pasta italiana è fatta con grano non italiano e la metà delle mozzarelle è prodotta con latte o con cagliate straniere.
L’Italia si trova in un situazione contraddittoria. Da un lato i prodotti alimentari Made in Italy sono sempre più richiesti all’estero e l’agricoltura è tornata ad attirare i giovani (le assunzioni giovanili nel settore nel primo trimestre 2013 sono salite del 9%), dall’altro il sistema paese non punta sulle campagne e dunque non riesce a fare fronte né alla intensiva domanda straniera né al fabbisogno interno. Da qui l’inevitabile ricorso alle importazioni e alle produzioni taroccate. In patria, infatti, si producono solo il 70% degli alimenti consumati dagli italiani. Si importa il 40% di latte e carne, il 50% di grano per il pane, il 40% di grano per la pasta, il 20% di mais e l’80% di soia. In totale le importazioni dall’inizio della crisi sono aumentate del 22%. «E’ colpa di un modello di sviluppo industriale sbagliato – sottolinea Coldiretti – che negli ultimi venti anni ha tagliato del 15% le campagne». Significa oltre due milioni di ettari coltivati in meno, circa 400 campi di calcio al giorno mangiati dal cemento.