Si allunga l’elenco dei palestinesi, aggressori veri o presunti, uccisi dalle forze di sicurezza o da civili israeliani armati per attacchi contro soldati e coloni. Dal 1 ottobre sono oltre 130, quasi tutti giovani. Questo numero include anche quelli uccisi dal fuoco dei soldati durante le dimostrazioni di protesta contro l’occupazione. L’ultimo, Hani Wahdan, è stato colpito venerdì lungo le linee tra Gaza e Israele. Nello stesso periodo sono stati uccisi oltre venti israeliani. Gli ultimi due, a metà settimana, alla Porta di Damasco di Gerusalemme: uno pugnalato da un palestinese, l’altro ferito mortalmente da un proiettile sparato dalla polizia intervenuta sul posto. In quella zona ieri è stato ucciso un altro giovane palestinese, Musab al Ghazali. Le autorità israeliane hanno detto che si trattava di un “terrorista” che aveva cercato di accoltellare un poliziotto.

 

Poco dopo però è emersa una versione più complessa. Ad al Ghazali sarebbe stato intimato di fermarsi «perchè si aggirava nella zona con fare sospetto» e quando la polizia si è avvicinata per un controllo il palestinese avrebbe estratto un coltello e tentato di colpire un agente. Un testimone però ha raccontato a un’agenzia di stampa locale che un agente ha fatto fuoco quando al Ghazali, allo stop intimato dalla polizia, ha alzato le mani. Poco dopo in Cisgiordania è stato ucciso dai soldati un altro palestinese, Maher Jabi, di 56 anni, che avrebbe investito intenzionalmente e ferito un militare al posto di blocco di Huwara (Nablus). Stessa versione per Mahdia Hammad, la madre 38enne di quattro figli sepolta ieri, che due giorni fa avrebbe tentato di investire dei soldati. I palestinesi smentiscono.

 

I centri per la tutela dei diritti umani denunciano la politica adottata dalle forze di sicurezza di Israele di sparare subito, senza esitare, contro i «terroristi palestinesi». Intorno alla città circa 200 palestinesi ieri si sono uniti in una catena umana per chiedere la restituzione alle famiglie dei corpi di “attentatori” uccisi nelle ultime settimane. La polizia ha disperso con la forza la protesta che ha anche voluto ricordare le vittime dell’offensiva israeliana “Piombo fuso” contro Gaza, cominciata negli ultimi giorni di dicembre 2008.

 

Sullo sfondo dell’Intifada di Gerusalemme – l'”Intifada dei coltelli” per gli israeliani – si svolge la soap opera della destra israeliana che si sta spaccando sull’assassinio del bimbo palestinese Ali Dawabsha, 18 mesi, e dei suoi genitori avvenuto la scorsa estate, quando un gruppetto di giovani ultranazionalisti ha lanciato bottiglie incendiarie contro l’abitazione delle vittime divorata dalle fiamme in pochi attimi. Da una parte ci sono il premier Netanyahu e alcuni ministri che condannano e ribadiscono la “tolleranza zero” per qualsiasi “atto di terrorismo”, anche ebraico, ma sino ad oggi non hanno fatto seguire fatti alle parole. Il ministro della difesa Moshe Yaalon, appena qualche giorno fa ripeteva che «non ci sono prove sufficienti» per rinviare a giudizio i quattro principali sospettati. In questa destra con il colletto bianco è grande il timore che la violenza degli estremisti finisca per generare una reazione internazionale negativa per Israele e contraria all’interesse del governo di continuare la colonizzazione dei Territori palestinesi occupati. Timore esagerato dato che i governi e i mezzi d’informazioni occidentali sottovalutano o fingono di non vedere la violenza della destra israeliana e denunciano solo quella palestinese. Dall’altra parte, quella più militante, ci sono altri ministri, come Uri Ariel, e deputati, come Bezalel Smotrich, che al contrario aderiscono alla campagna per la scarcerazione degli arrestati e attaccano lo Shin Bet (il servizio della sicurezza interna ) accusandolo di aver fatto uso della tortura contro altri ebrei.

 

La campagna di questa destra, “eversiva” scrive qualcuno, va avanti a gonfie vele nonostante le intenzioni manifestate da Netanyahu. Ieri sera si sono svolti un po’ ovunque altri raduni a sostegno degli arrestati grazie anche alla mobilitazione organizzata attraverso la pagina Facebook “I prigionieri di Sion” (https://www.facebook.com/AtzureyZion/?fref=ts). E’ già lontano lo sdegno generato dal video circolato questa settimana (https://youtu.be/t3h8FEvGNQg) che mostra decine di israeliani (alcuni armati di mitra) che a una festa di matrimonio danzano felici brandendo coltelli con i quali colpiscono foto del piccolo Ali Dawabsha.