Avevo voglia di parlare di certe mie piccole manie di melomane (in particolare il fastidio che provo per l’eccessivo uso di fortepiani d’epoca nell’esecuzione moderna di musiche composte tra sette e ottocento: non so se avete mai ascoltato Mozart, o addirittura Beethoven, suonati su questi strumenti dal fastidioso timbro nasale e farlocco, che sembrano anche un po’ scordati. E noi che siamo abituati a goderceli con gli acuti cristallini degli Steinway, o con le asserzioni glaciali di un Bosendorfer sotto le dita di Backhaus!).

Ma mi sembrano argomenti scandalosamente futili nei giorni in cui si ripetono attentati contri cittadini inermi, e si rischia una strage a Torino per la paura di una bomba.

Sentiamo ripetere: la miglior risposta è non cambiare i nostri stili di vita, che rappresentano il vero bersaglio dei fanatici estremisti “radicalizzati”.

Ma come sarà mai possibile? Il mio stile di vita comprende la passione per gli strumenti a tastiera (in realtà una volta mi sono molto divertito a provare un autentico fortepiano a casa di una cara amica) ma oggi non riesco a pensarci con la spensieratezza di sempre.

Continuo a prendere la metropolitana, ma mentre aspetto il treno non posso fare a meno di immaginare che potrebbe esplodere un vagone, e guardo con qualche sospetto il giovane dalla carnagione scura e dalla barba nera che trasporta un sacco o uno zainetto.

E mi sorprendo a riflettere sui rischi mentali che corriamo. Il primo fra tutti, forse, è proprio quello di cercare di rimuovere questi pensieri insopportabili, e con essi il problema che abbiamo di fronte. Si affaccia infatti una specie di rimedio consolatorio: non ci posso fare niente, i terroristi sono una presenza ormai costante del nostro contesto sociale, la loro follia provoca un certo numero di vittime. Ma il mondo va avanti ugualmente.

Non muore tantissima altra gente – molta di più – per cose assurde come gli incidenti stradali, oppure quelli sul lavoro, l’inquinamento, le malattie per cui non si trovano cure, anche per interessi oscuri?

C’è persino chi afferma che in realtà le violenze e le guerre sono in termini relativi diminuite…

Ma è evidente che simili esercizi di rimozione hanno un valore del tutto effimero. Più interessante il riconoscere in noi qualcosa di maggiore consistenza: certo il mio modo di vivere la quotidianità non voglio cambiarlo, anche accettando qualche probabilità in più di diventare per caso una delle vittime (soprattutto a una certa età ci si sorprende a dirsi: bè di qualcosa prima o poi dovrò pur morire), ma il mio modo di ragionare e di valutare le cose – e le stesse mie scelte di vita – invece cambia. È bene che sia così, e soprattutto che io ne sia ben consapevole. Perché possa rimanere padrone delle mie reazioni, delle mie idee e dei miei sentimenti.

Per esempio il modo di valutare la reazione della premier inglese Theresa May: “quando è troppo è troppo”. Sul Corriere della sera Paolo Mieli mi pare giustamente diffida delle affermazioni stentoree e delle promesse impraticabili da parte di chi ha responsabilità di governo.

Più che immaginare soluzioni facili e impossibili, aggiungendo che nulla deve cambiare nei nostri stili di vita, è meglio riflettere, cercare le “parole giuste” per definire e sconfiggere questa guerra mortale che ci invade in molti modi diversi.

Riflettere anche se poi, alla fine, qualcosa sarebbe invece meglio cambiare proprio nei nostri stili di vita e nei valori che li informano.