Sulla scuola si rischia non solo la Caporetto di un governo, ma quella dello Stato e delle generazioni adulte verso milioni di giovani e bambini, cioè verso le giovani generazioni dei prossimi vent’anni.
Le soluzioni, per tornare a scuola in sicurezza, ci sarebbero e sono anche state proposte da qualcuno; invece si alimentano ricette inconsistenti per la sicurezza e pericolose per la didattica.

Che senso ha, per esempio, parlare della riduzione oraria, mentre bisogna ridurre il numero di alunni per classe? Come si può considerare una ricetta erga omnes le lezioni all’aperto o itineranti, senza poter prevedere nulla del clima o della piovosità della stagione autunnale, senza rendersi conto che, ad esempio, moltissime scuole sono fuori dai centri storici, spesso anche molto lontane e con problemi di collegamenti e trasporto?

Certo non si tratta solo di problemi di natura concreta, ma questi ci sono e non possono essere nascosti dietro pseudo riforme della didattica; ci sono e rischieranno di esplodere in faccia a presidi, studenti, insegnanti, comuni e governo: alla società italiana. Di fronte a questioni gigantesche- cognitive, antropologiche e democratiche – come quelle poste dalle tecnologie, invece di aprire una profonda, competente e partecipata discussione culturale e pedagogica, si può pensare di trasformare una risposta di emergenza (la didattica a distanza) nella base di un modello innovativo?

Qui non passa il confine tra modernità e conservazione, ma tra complessità e superficialità. La prima è ormai dimenticata sulla Luna, come il senno d’Orlando, mentre la seconda imperversa e spadroneggia. Ancora: è importante costruire, intorno alle scuole, una rete di stimoli culturali, scientifici, formativi, critici. Ma – a parte che le reti, quando c’erano, sono state spesso smontate coi tagli dei decenni scorsi – ha senso immaginare che, a prescindere da libere e organiche programmazioni didattiche e formative, essa diventi una risposta itinerante a un virus, una sorta di nomadismo forzato e casuale?

Chi pensa questo considera la scuola un parcheggio temporaneo, non un’istituzione e una comunità formativa. E poi, da cosa metterebbe al riparo? Nel tragitto in pullman verso un museo, ci si può contaminare assai più che in classe. Sono sonore sciocchezze da cui il governo di un grande Paese dovrebbe prendere le distanze.

La soluzione ha due nomi, semplici e chiari: soldi e assunzioni, entrambi in misura corposa e adeguata. E una piccola, ma illuminata, forza di maggioranza, lo ha detto, appunto, con chiarezza e semplicità: 15 miliardi del fondo europeo, per la scuola pubblica; per ridurre il numero di alunni nelle classi, per potenziare e mettere in sicurezza le strutture, per assumere docenti e superare la condizione di precariato di un numero impressionante di loro (molti dei quali hanno esperienza e competenze didattiche da vendere), per rivitalizzare le scuole nei piccoli centri e comunità dell’entroterra (evitando che continuino a spopolarsi); infine, per potenziare fortemente il trasporto pubblico e scolastico, innovando, con mezzi elettrici o meno inquinanti il parco macchine delle società (spesso pubbliche o miste) di trasporto.

Questa è una risposta all’emergenza. E poi si apra il grande confronto. Ma partendo dalla conoscenza reale di quello che la scuola già sa e già fa; cambiando rotta rispetto ai decenni passati: nessun ascolto reale delle scuole e di chi le vive e le fa vivere, slogan superficiali che inseguono punti di vista aziendalistici (com’è accaduto per la sanità, col prezzo che conosciamo).

Si scoprirà così, forse, che le scuole sono un po’ diverse e immensamente più ricche e aperte del racconto caricaturale che ne viene diffuso; che hanno voglia di rinnovarsi ed energie per farlo, ma anche il bisogno di ragionare, all’inizio di un nuovo millennio, su come integrare i processi conoscitivi della specie umana, con strumenti e forme assai recenti (rispetto ai tempi biologici) della comunicazione. Si capirà, e non in due mesi scarsi, sotto la minaccia di una pandemia, che molti insegnanti capiscono bene, e non da oggi, quant’è importante fare esperienza formativa anche fuori dalle mura dell’aula o usare anche il digitale. Dentro un progetto educativo, appunto. Se a qualcuno sfugge la differenza, non è obbligato a parlare.