Benché raramente, ci sono casi in cui un artista, producendo la sua opera, riesce a offrire allo stesso tempo le chiavi concettuali e filosofiche per comprenderla. Quando ciò accade, ci si trova di fronte a una preziosa opportunità: quella di unire la riflessione teorica al gesto espressivo e aprire così un canale di comunicazione fra ciò che l’artista fa e ciò che l’artista pensa.
Ciò vale sicuramente per la videoartista bavarese Hito Steyerl, una delle personalità più influenti nel mondo dell’arte contemporanea. Videomaker, teorica, saggista, insegnante alla Universität der Künste di Berlino: Steyerl è personaggio poliedrico, multiforme, mai domo a definizioni e a categorizzazioni unilaterali. Eppure, nella sua opera tanto prolifica quanto variegata e imprevedibile, emerge un fil rouge molto preciso. Affrontando i suoi lavori, si viene continuamente sospinti dalla periferia delle sue opere e dei suoi pensieri al centro concettuale che tutti li attraversa, ovvero: in primis la modalità con cui internet, infrastrutture digitali, big data e ingegnerizzazione informatica interagiscono con la società e le opere d’arte modificando l’esperienza stessa che l’uomo può farne; a questo si lega una costante ricerca volta a indagare i nuovi rapporti che tengono insieme speculazioni finanziarie, mercato dell’arte e disuguaglianze economiche. In altre parole, Steyerl affronta alcune delle problematiche più significative per la storia e la cultura del XXI secolo.
Per avvicinarsi a tutto ciò, oggi in Italia si ha una doppia opportunità. Insieme all’uscita del suo primo libro tradotto in italiano Duty Free Art L’arte nell’epoca della guerra civile planetaria (Johan & Levi, pp. 212, euro 22,00), il Museo d’Arte Contemporanea del Castello di Rivoli ospita un’installazione progettata ad hoc da Steyerl intitolata The City of Broken Windows (a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio, fino al 30 giugno 2019).
Junktime frenetico e frammentato
Partiamo da Duty Free Art. Il volume si presenta, di nuovo, come un insieme di riflessioni che solo apparentemente affrontano tematiche sconnesse fra loro, ma che in realtà restituiscono un’immagine esaustiva – ancorché complessa e frastagliata – del mondo contemporaneo. In ognuno dei quindici capitoli che compongono il testo, l’arte è posta in relazione ad aspetti specifici della società, dell’economia e della comunicazione. Così, per esempio, nella sezione intitolata «Il panico del Dasein totale: economie della presenza nel mondo dell’arte» Steyerl individua l’essenza del mercato nell’arte non nel riconoscimento di uno sforzo intellettuale e manuale dell’artista, bensì nel Dasein, nell’esser-ci heideggeriano dell’artista stesso: «L’artista deve essere presente, come suggerisce il titolo della performance di Marina Abramovich. E non solo presente, ma presente in via esclusiva, presente per la prima volta o in qualche altra concitata declinazione del nuovo».
Una dinamica che per l’artista si lega ai nuovi modelli di comportamento che i social network, internet e l’iperconnessione digitale stanno promuovendo: in un junktime sempre più frenetico e frammentato perché esposto a innumerevoli stimoli, appuntamenti, informazioni, l’esserci è diventato fonte di ansia e panico; una convocazione irresistibile a presenziare costantemente a tutte le occasioni di aggregazione offerte dalla società, dagli amici, dalle città ecc. In risposta al panico della presenza, Steyerl istituisce quella che lei stessa definisce una proxy politics. «Un proxy è “un agente o un sostituto autorizzato ad agire per conto di un’altra persona”», è il nostro avatar digitale che ci fa essere contemporaneamente presenti in ogni punto della rete con foto, tweet, like. Ma chi governa questa rete? Chi decide cosa può essere visto e cosa no? Chi regola i flussi dei dati? Il problema di una politica del web sta molto a cuore a Steyerl, che vede nella continua espansione di intelligenze artificiali e algoritmi quantomeno oscuri la perdita della possibilità di autodeterminarsi e avere potere su ciò che vogliamo vedere, conoscere, approfondire.
Ed è sul medesimo ordine di problemi che riflette anche l’installazione The City of Broken Windows. Due video prodotti da Steyerl, posti ai due estremi della Manica Lunga del Castello di Rivoli. Il primo documenta il lavoro svolto dai ricercatori dell’azienda Audio Analytic, intenti a classificare la vasta gamma acustica prodotta da finestre che vanno in frantumi. Una classificazione che servirà in un secondo momento a sviluppare software di intelligenza artificiale sempre più efficienti nel riconoscere effrazioni e scassi che prevedano la rottura del vetro. Questo è il video delle «broken windows». All’opposto della sala, invece, troviamo la clip delle «unbroken windows». Il filmato registra e documenta l’esperienza di Chris Toepfer, artista statunitense che si prende cura degli edifici abbandonati occludendone le finestre vuote con disegni, pannelli colorati, dipinti. Per Steyerl sono queste due polarità a dividere non solo l’arte, ma anche il nostro modo di vivere in società. Da una parte, algoritmi, byte, big data per classificare, registrare, fornire risposte automatizzate ai bisogni dell’uomo; dall’altra, il gesto del tutto libero e unico di un uomo che cerca di curare le ferite provocate da disoccupazione, disuguaglianze, dissesti socioeconomici.
Politica postrappresentativa
Il processo che porta alla formazione della nuova realtà digitale e quello che minaccia la pace sociale delle nazioni sono per Steyerl guidati da un’unica politica «postrappresentativa». Un modello decisionale e programmatico che non ha referenti né nomi, portato avanti per interposta persona. E anche «l’arte contemporanea diventa così un sostituto per i beni globalmente condivisi, il proxy con cui compensare l’assenza di qualsiasi terreno, temporalità o spazi comuni». Ecco che l’arte si fa duty free, proprio come internet o la crisi globale, circola globalmente affacciandosi sui mercati finanziari quasi fosse un hedge fund o venendo conservata in porti franchi extragiurisdizionali come quelli di Ginevra, Singapore o Lussemburgo. Mercato dell’arte, infrastrutture del web, azioni finanziarie: chi sono i soggetti che governano questi territori? E con quali criteri lo fanno? In che modo rendicontano del loro operato? Ma soprattutto, quali interessano curano? Quelli di tutti o quelli di un’élite? Steyerl pone queste domande ai lettori dei suoi libri e ai visitatori delle sue mostre. Sono domande scomode che cercano di scuotere le coscienze ed esaltare la capacità critica del pensiero. Quello che ci si aspetterebbe da ogni grande artista.