L’ultimo lavoro solista di Steve Howe, ancor più dei diciotto precedenti, è sicuramente destinato a privilegiare la fetta di audience alla ricerca di certezza, ripetizione, conferma della propria memoria musicale, lasciando ben poca soddisfazione a eventuali richieste di novità. Pubblicato da Bmg il 31 luglio — a ben nove anni di distanza da TimeLove Is si presenta come una perfetta sintesi del linguaggio codificato da Howe in cinque decadi di attività. Il 73enne chitarrista degli Yes rassicura lo zoccolo duro del suo pubblico riproponendo forme, sound e schemi compositivi ben rodati. La sua unità di misura è sempre la cellula ritmico-melodica, l’inciso tematico, il riff. «Il seme dell’idea iniziale», afferma il musicista britannico, «è sviluppato fino a diventare un brano finito». Una volta partorito, il motivo viene articolato in progressioni che lo ribadiscono senza mai togliergli asciuttezza né metterne in discussione la preminenza, relegando in secondo piano l’estro armonico e ritmico.

MELODIE LINEARI, semplici, finanche prevedibili, che del prog riesumano le punte meno aspre. Oltre agli Yes, tornano alla memoria le arie più liriche di Emerson, Lake & Palmer e dei Camel, soprattutto nell’opening track Fulcrum e negli altri pezzi strumentali: Beyond The Call, Pause For Thought, The Headlands, Sound Picture (la cui intro viene ricalcata dagli analoghi arpeggi terzinati di Imagination).
A differenza dell’album precedente Howe lascia cantare anche la voce, scandendo la tracklist con fin troppa diligenza (peculiarità tra le più indisputabili del suo approccio): cinque strumentali alternati ad altrettanti brani cantati.
Tra questi, Love Is A River è il manifesto poetico del disco: «Ho chiamato l’album Love Is perché allude all’idea centrale che l’amore per le persone è importante, ma che anche quello per l’universo e per l’ecologia del mondo sia fondamentale. C’è un filo invisibile che unisce l’amore, la bellezza, l’ecologia, la natura e le persone meravigliose».
È lo stesso autore a dar voce ai testi, oltre che a incidere chitarre, tastiere, percussioni e basso, assicurando — anche in qualità di produttore — una firma assolutamente personale al paesaggio sonoro. Suo figlio Dylan lo affianca alla batteria, mentre Jon Davison — attuale cantante degli Yes — si occupa delle seconde voci (ben riuscito l’amalgama su See Me Through, dedicata a Zuni, nipote del chitarrista) e del basso nelle tracce cantate. On A Balcony promette scintille finali, con il drumming di Howe jr. che sembra finalmente sciogliersi dalla rigidità di standardizzati pattern in 4/4, in cui però ripiomba non appena entra in scena la voce.

MANCA all’appello l’eclettismo esibito da Howe con gli Yes, gli Asia, e ancor più nei lavori solisti e nelle collaborazioni (basti pensare alla memorabile chitarra di Innuendo). Ben presente invece il suo ricco arsenale di strumenti, per un calibrato equilibrio timbrico, tra legno ed elettricità.Diligenza. Questa la quintessenza di un disco il cui zelo sfocia a volte nell’elegante freddezza tipica di un certo prog. Nessun colpo di scena, tra questi dieci capitoli sonori, piuttosto un racconto di cui possiamo riconoscere la trama, prevedendone gli snodi e la risoluzione, attraverso l’esercizio della memoria. Ma non è anche questo un legittimo piacere dell’ascolto?