Nel 2004 mi capitò di seguire a Dallas la prima edizione dell’American Film Renaissance – festival dedicato al «cinema conservatore», una risposta ad autori come Michael Moore che proprio quell’anno aveva prodotto Fahrenheit 9/11.

La rassegna voleva rappresentare una controffensiva «culturale» della destra, impegnata a cooptare strumenti e linguaggi agit-prop, prerogative della controcultura progressista sin dai tempi della contestazione degli anni ’60.

L’INTENTO di quel festival e di altri che vi sarebbero seguiti (come il Liberty Film Festival fondato da Govindini Murty e Jason Apuzzo a Hollywood) era di sovvertire quelle «élite liberal» designate anni dopo come «nemiche» dai trumpisti.

Contenevano cioè l’embrione di attivismo culturale ai cui frutti assistiamo oggi: l’insediamento di un «guastatore» ideologico come Steve Bannon alle massime leve del potere. Nemmeno il più ottimista dei giovani leoni di Dallas avrebbe potuto immaginare un successo così folgorante.

Doc di Bannon sul Tea Party

Negli anni neocon di Bush, le nuove leve del movimento conservatore si limitavano a criticare da destra l’establishment repubblicano. Ma si trattava dei primi semi di quella Alt-right che una dozzina di anni dopo avrebbe espugnato il governo del paese più potente del mondo. Fra la manciata di mediocri documentari propagandistici e film a sfondo religioso, in quel primo anno spiccava Michael Moore Hates America, una parodia di Roger& Me diretto da Michael Wilson.

Nell’intervista di allora, Wilson era un giovane laureato, dalle argomentazioni pacate, che si infervorava sull’argomento di Ayn Rand che – come molti al festival – venerava come madre ideologico-spirituale della dottrina «libertarian».

Rand, esule russa ebrea emigrata in America dalla Russia bolscevica nel 1925 fu drammaturga e sceneggiatrice di qualche modesto successo, poi militante politica fautrice di un proto liberismo vagamente mistico che postulò in opere come La Rivolta di Atlante e La Fonte Meravigliosa. Il movimento che fondò teorizzava l’egoismo «hobbesiano» e l’estremo individualismo imprenditoriale come motore della società virtuosa. Un filone che avrebbe influenzato successive generazioni della destra reazionaria americana.

FRA GLI INTERVISTATI anti-Moore nel film di Wilson figurava un coetaneo del regista: Andrew Breitbart. Cresciuto in una famiglia ebrea nel facoltoso sobborgo di Brentwood a Los Angeles, Breitbart  era un  early adopter di internet, aveva collaborato sia con Arianna Huffington (quando era ancora repubblicana) al lancio di Huffington Post e con Matt Drudge al suo portale reazionario Drudge Report.

Fatto tesoro di quelle esperienze – e dell’operazione di diffusione ideologica di Fox News – Breitbart nel 2007 lancerà Breitbart News, destinato a diventare il portale di riferimento della Alt-right.

Nel suo sito, Breitbart adotta e aggiorna per la rete il «format della rabbia» e della bufala,  affinato per anni sull’etere delle am-radio, i talk show delle emittenti conservatrici che trasmettono sulle onde medie. I programmi urlati da conduttori come Rush Limbaugh, Sean Hannity, Laura Ingram, Glenn Beck (e, fra gli altri, il futuro vicepresidente Mike Pence) offrono sfogo e catarsi agli ascoltatori che invitano a commentare in diretta.

UNA DIETA QUOTIDIANA di complottismo e rancore  verso le urban élites o le Nazioni unite. Una dialettica kamikaze che negli anni 2000 fa da eco a quella della Fox News sempre più plasmata da Roger Ailes in vero ministero della comunicazione del Gop di era Tea Party.

Breitbart però  coopta anche tecniche di provocazione «situazionista» tradizionalmente usate dalla sinistra (quelle degli Yes Men ad esempio).

Nel 2009 un suo collaboratore, James O’Keefe, lancia un’operazione per screditare la Acorn, una cooperativa per l’assistenza sociale ai ceti urbani disagiati, coacervo di disprezzati «community organizer». Con un’attrice nei panni di una prostituta O’Keefe si presenta negli uffici della ong e chiede incentivi per aprire una attività di prostituzione giovanile. Ottenuta l’apparente offerta di assistenza O’Keefe pubblica i video girati con camera nascosta. Una successiva inchiesta non troverà estremi di illeciti ma l’obiettivo è raggiunto: gettare ombra sull’organizzazione e per estensione sulle politiche sociali di Obama.

INTERNET OFFRE una inedita, efficace e anonima cassa di risonanza alla retorica dell’insulto, facendo nuovi proseliti negli ambienti limitrofi ai videogiochi e del tech. Un giro quasi esclusivamente maschile che sarà battezzato manoshpere.

L’antifemminismo militante si manifesta nei post di siti e blog che deridono e insultano donne come quello di Mike Cernovich un giovane avvocato californiano, altro collaboratore di Breitbart, titolare del blog Danger and Play e autore di Gorilla Mindset, un libro su come liberare «l’animale interiore» per non farsi sottomettere dalle donne.

Quando si dichiarano anti gender, il genere che hanno in mente i troll della manosphere è quello femminile; opposizione che la febbrile campagna anti Hillary ha ulteriormente cristallizzato.

LA FAZIONE MASCHILISTA e «trollista» sviluppata su Alt-right sarà componente fondamentale della coalizione populista catalizzata da Trump.

Nella singolare e strumentale confederazione trumpista di working class bianca, nazionalisti, evangelici e troll si coniugano il rancore viscerale delle am-radio e l’aggressiva supponenza libertarian con la cifra comune di una bellicosità ammantata di sacrosanta rivalsa.

Lo capirà più di ogni altro Steve Bannon un sodale di Bretibart che rileva la direzione di Breitbart News dopo l’improvvisa morte del titolare nel 2012.

STEVE BANNON – già broker della Goldman Sachs – si sposta a Hollywood dove fa il produttore e finanziere di medio rango facendo fortuna con i diritti delle repliche della serie comica Seinfeld. Accanto a questa attività, coltiva però una passione politica reazionaria che esplicita in una serie di documentari propagandistici che si ricollegano ai film in cartellone in quel primo festival a Dallas.

L'Horror di Bannon su Reagan contro l_impero del male

Il primo risale proprio al 2004: In The Face of Evil  traccia «la crociata di Ronald Reagan per distruggere il sistema politico più tirannico e depravato che il mondo abbia mai conosciuto».

Seguono Cochise County e Border War che documentano gli «eroici sforzi» dei vigilantes armati che pattugliano il confine contro i clandestini messicani.

Altri film realizzati da Bannon sono apologie di Sarah Palin (Undefeated) e del Tea Party (Battle for America), elogi della «America vera» e sermoni contro il movimento Occupy e le «élite cosmopolite e globaliste».

Una filmografia che declina una ideologia populista anti-multiculturale e anti statalista. Bannon e la nuova destra della Alt-right considerano welfare e pari opportunità come un cancro sociale che corrode l’originale fibra della nazione.

L’assalto ai diritti civili di minoranze è dissimulata come critica della «correttezza politica» e ammicca agli ambienti più estremisti dell’arcipelago reazionario e inevitabilmente alle frange razziste del suprematismo bianco.

[do action=”citazione”]Siamo agli albori di un conflitto brutale, ha detto riferendosi  allo scontro con l’islamofascismo esortando i cattolici alla guerra globale contro laicità  e califfato[/do]

«NON SONO UN NAZIONALISTA» si schernirà successivamente Bannon una volta giunto ai vertici del potere. «Sono un nazionalista economico» ma è, a dir poco, un eufemismo.

L'apologia di Sarah Palin di Steve Bannon
L’apologia di Sarah Palin di Steve Bannon

 

In realtà Bannon esprime posizioni radicalmente ordinoviste come quelle da lui stesso descritte nel 2014 in un intervento ad una conferenza presso il Dignitatis Humanae Institute, istituto vaticano presieduto dal cardinale Raffaele Martino e diretto da Benjamin Harnwell.

In quell’occasione dichiara che «siamo tutti figli della barbarie iniziata con l’assassinio dell’arciduca Ferdinando che pose termine alla pax vittoriana». L’attuale crisi capitalista, nell’analisi «epocale» di Bannon, è conseguenza della «perdita delle radici giudeo-cristiane della civiltà occidentale».

Il «destino manifesto» cristiano e capitalista di un occidente predestinato e superiore rivela (ancora una volta) il debito Alt-right al pensiero di Ayn Rand.

NELLA VERSIONE APOCALITTICA di Bannon le sorti dell’occidente si giocano nello scontro di civiltà che oggi affronta. «Siamo agli albori di un conflitto brutale e sanguinoso» ha dichiarato riferendosi ovviamente allo scontro con «l’islamofascismo», un dogma assunto dall’amministrazione Trump.

Né è casuale che abbia articolato il concetto a Roma esortando i cattolici e la chiesa ad arruolarsi nella «guerra globale contro laicità  e califfato per salvare l’occidente».

Che la chiamata alle armi si stata lanciata in Vaticano pare tanto più significativo alla luce degli attuali contatti fra integralismo cattolico, nazionalismi europei e trumpismo. Non casuale forse anche il fatto che Breitbart abbia appena aperto un ufficio di corrispondenza proprio dal Vaticano.

Con Bannon oggi nel consiglio sicurezza e «consigliere strategico speciale» del «leader del mondo libero», l’arcipelago dell’internazionale ordinovista – considerato estremo finora perfino  in ambienti ultra conservatori –  si trova insediato ai vertici assoluti del potere.

[do action=”citazione”]È difficile rendere la straordinarietà della situazione. Mai fascismo americano aveva raggiunto così completamente le leve del comando.[/do]

L’avvento di Bannon e Trump equivale ad una vittoria presidenziale di George Wallace o di Barry Goldwater. È come se fossero diventati presidente J. Edgar Hoover o Joseph McCarthy e le loro orwelliane cacce alle streghe diventate politica nazionale.

Il 20 gennaio Trump avrebbe annunciato la nascita di una nuova era e proclamato nel primo atto ufficiale una «giornata di devozione patriottica», una retorica degna di Philip K Dick e della sua Svastica sul Sole, che non ha potuto che rincuorare gli adepti della Alt-right che lo avevano seguito a Washington.

Per celebrare l’inaspettata vittoria, si sono dati appuntamento in un ricevimento al National Press Club alla vigilia dell’insediamento. La festa era intitolata Deploraball  (ironica frecciata a quel «deplorevoli» con cui li aveva dipinti Hillary Clinton) ma per molti versi è stato un summit celebratorio del partito di Bannon e Breitbart. Alla soirée erano presenti il «mascolinista» Cernovich e il breitbartiano James O Keefe (quello della operazione Acorn).

Alex Jones, l'incazzatura come format
Alex Jones, l’incazzatura come format

 

C’erano Michael Flynn Jr, figlio del generale omonimo, capo della sicurezza nazionale di Trump, e Alex Jones, attuale decano complottista che dal suo sito Infowars denuncia complotti ebrei per abbattere le torri gemelle e accusa Obama di aver compiuto la strage alla scuola elementare di Newtown. Tutti insieme hanno celebrato l’improbabile ma concreto trionfo della Alt-right.

Come ha dichiarato l’ex nixoniano Roger Stone, altro esponente «deplorevole» dell’ultradestra, amico di Bannon e consigliere di Trump: «Il mainstream adesso siamo noi. Le frange sono Cnn e il New York Times».

[do action=”quote” autore=”Roger Stone”]«Il mainstream adesso siamo noi. Le frange sono Cnn e il New York Times»[/do]

 

Roger Stone, stagista per Nixon, è rimasto infatuato del grande vecchio dei
Roger Stone, stagista per Nixon, è rimasto infatuato del grande vecchio dei “dirty tricks”, tanto da tatuarselo sulla schiena!