Stephen King non è il più prolifico scrittore americano, titolo che spetta probabilmente a Joyce Carol Oates, ma fa certamente parte del gruppo di testa, con Jeffrey Deaver, Joe Lansdale e pochissimi altri. Negli ultimi due anni il sessantottenne ragazzo del Maine ha pubblicato, senza contare i racconti, quattro libri e un quinto, Finder Keepers, secondo volume della trilogia inaugurata con Mr. Mercedes, ariverà in giugno. Con autori tanto fluviali, ogni uscita è in realtà un’incognita. Capita che libri molto attesi come Doctor Sleep, il seguito di Shining, si rivelino deludenti mentre romanzi in apparenza secondari, come Joyland, sorprendano per la loro smagliante perfezione.

Revival (Sperling&Kupfer, pp. 469, euro 19.90) è stato giustamente accolto dalla critica americana come uno dei migliori romanzi di King e il più cupo tra quelli recenti, ma anche come una specie di «ritorno alle origini», il che è invece vero solo in parte. È vero che qui lo scrittore del Maine rende esplicito omaggio ad alcuni dei suoi maestri, in particolare Mary Shelley, H. P. Lovecraft e il meno conosciuto caposcuola inglese Arthur Machen e che la loro influenza, specialmente quella di Lovecraft, si avvertiva nei suoi primi romanzi più che in quelli recenti. Ma le somiglianze si fermano qui: Revival è in realtà infinitamente più complesso dei primi lavori, eccezionali per forza narrativa ma a modo loro ingenui.

I demoni dei baby boomers

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Per la prima volta King segue un personaggio nell’arco dell’intera vita o quasi: oltre cinquant’anni, dai primi ’60 del secolo scorso al giorno d’oggi. Anche se per esigenze di copione ha dieci anni meno dello scrittore, Jamie Morton è quello che Stephen King avrebbe potuto diventare. Lo scrittore di Bangor è un discreto chitarrista nel gruppo Rock Bottom Remainders. Anche Jamie è un musicista valido ma non eccezionale: una classica seconda fila del rock’n’roll, uno che si guadagna da vivere come session man (va da sé che la «colonna sonora», spesso importante nei romanzi di King, è qui fondamentale). Jamie riassume tutti i caratteri e i percorsi della generazione dei baby boomers, quella dello stesso King come di moltissimi suoi personaggi: passa per le stesse esperienze, le stesse droghe, le stesse delusioni di tutta la sua generazione. Combatte i medesimi demoni. Cresce cambia e invecchia con la sua generazione.

Nella sua vita, come in quella di chiunque, ci sono i protagonisti, i comprimari e le comparse. Ma c’è anche, come lui stesso spiega, chi sfugge ai ruoli e opera come «agente del cambiamento». È il secondo protagonista del romanzo, il reverendo Charles Jacobs: uomo di dio all’inizio del romanzo, nemico giurato di dio dopo la tragedia che gli sconvolge l’esistenza, scienziato pazzo anche, un classico «mad doctor», un po’ guitto ma davvero mago e guaritore, poi fondatore di una setta revivalista di quelle che negli states proliferano e che lo rende ricco.

Jacobs è certamente un conclamato omaggio a Mary Shelley, al suo dottor Frankenstein e a tutti gli scienziati folli e solitari che nella letteratura o nel cinema hanno indagato e forzato i segreti della natura oltre i confini del consentito. Ma il vero modello del reverendo è il capitano Achab. Come lui, Jacobs è posseduto da un’ossessione devastante e demoniaca: vendicarsi di dio, dimostrarne l’inesistenza con la stessa foga, la stessa energia indomita con cui, prima di perdere la fede, lo aveva servito. È un’ansia di vendetta nella quale palesemente ancora alberga il bisogno della fede, la necessità di una missione, sia pur rovesciata e capovolta.

Jacobs, il pastore senza più fede, che crede di non credere più in dio e invece ha forse solo mutato l’amore in odio è il centro drammatico del libro. A differenza di Jamie, il ragazzo degli anni ’60 che è costantemente alle prese con la sua metà oscura senza che questa raggiunga mai vette titaniche, Jacobs porta tutto, nel bene come nel male, alle estreme conseguenze, ed è impossibile, alla fine definirlo come personaggio fondamentalmente positivo o negativo.

Frammenti di umanità

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Altrettanto impossibile è definire la relazione tra Jacobs e Jamie, motore dell’intera narrazione. Il religioso, «l’agente del cambiamento», compare ogni volta che Jamie si trova di fronte a un bivio, o sta per affondare nelle sue fragilità. L’influenza della sua personalità e della sua scienza sconfinata nella magia sono sempre positive. È Jacobs a impedire che la famiglia di Jamie bambino, vada in frantumi. Sarà ancora lui, decenni dopo, a salvare il giovane chitarrista dall’eroina, poi a trovargli un lavoro duraturo. Jamie non è l’unico «paziente» di cui Jacobs, nelle sue vesti di guaritore, si prende cura. Ma è il solo di cui il pastore diventato nemico di dio sia affezionato davvero, l’unico a non essere considerato soltanto una cavia. Forse per questo Jacobs ne ha bisogno, persino per procedere nelle sue sconsiderate ricerche: se il pastore diventato mago incarna il lato demoniaco del suo pupillo, Jamie è per il reverendo l’ultimo residuo lembo di fede, se non in dio, almeno nei sentimenti e nell’umanità

In realtà è proprio la fede, intesa non come esaltazione mistica ma come consapevole ricerca di senso, il vero tema intorno al quale ruota quello che è forse il più profondo e autobiografico nella immensa mole di romanzi sfornata nell’arco di quattro decenni dall’eterno ragazzo del Maine. La fede che si perde di fronte all’insensatezza delle tragedie che ti colpiscono e che da sempre, nella narrativa di King, rappresentano il vero elemento horror, ciò che davvero inquieta e disturba proprio perché tutt’altro che sovrannaturale ma al contrario naturalissimo, all’ordine del giorno. La fede assediata dalla scienza quale ricerca di senso alternativa ma alla fine incapace di restituire la sensatezza perduta. La fede messa sotto scacco dalla domanda che si poneva nel 1961 Ingmar Bergman nel film Come in uno specchio e che è quanto di più lovecraftiano si possa immaginare: «E se dio fosse un gigantesco ragno?».