«Mantenere qualcuno in vita contro il proprio desiderio è l’ultimo trattamento indegno che gli si possa riservare», aveva affermato nel 2015 Stephen Hawking durante un’intervista alla Bbc. Ma l’astrofisico britannico aveva già preso posizione più volte nel dibattito pubblico nazionale sul fine vita: «Non lasciamo soffrire gli animali, quindi perché dovremmo con gli umani?», aveva detto nel 2013, come riportato dal Telegraph. Eppure alla giornalista della Bbc che lo incalzava aveva spiegato che personalmente avrebbe preso in considerazione «il suicidio assistito solo in caso di grave sofferenza, oppure se mi rendessi conto di non poter più dare un contributo all’umanità e di essere soltanto un peso per chi mi sta intorno».

Hawking, emblema stesso della vittoria della mente sulla malattia che affligge il corpo, è morto ieri a 76 anni contro ogni aspettativa dei medici che dai 21 anni in poi lo avevano dato più volte per spacciato entro pochi mesi. Da più di 50 anni infatti era costretto su una sedia a rotelle dalla sclerosi laterale amiotrofica (Sla), una malattia neurodegenerativa progressiva della muscolatura scheletrica che porta alla paralisi del corpo e alla perdita della capacità di deglutire e di respirare in autonomia.

Una patologia, al momento incurabile, dello stesso ceppo di quelle che affliggevano Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Giovanni Nuvoli, Walter Piludu, Davide Trentini e molti altri che hanno trasformato – come dirigenti del Partito radicale o supportati dai militanti radicali – il loro caso personale in una battaglia pubblica in favore del diritto ad una morte dignitosa. Il loro contributo è stato senz’altro determinante per aprire il percorso verso la legge sul testamento biologico, approvata in extremis dal governo di centrosinistra.

«Hawking, oltre ad essere un grande scienziato, ha incarnato alcuni tra gli obiettivi e lotte più urgenti del nostro tempo: la resistenza contro la Sla e per una qualità di vita migliore possibile pure in condizioni di malattia e disabilità estreme; per la libertà di ricerca scientifica e laicità della politica, contro clericalismi di ogni tipo; per il diritto ad essere liberi fino alla fine, eventualmente anche scegliendo l’eutanasia», ha commentato ieri Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni che dal 2015 offre supporto ai malati terminali che vogliono andare in Svizzera per ottenere il suicidio assistito, come forma di disobbedienza civile.

La legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dell’eutanasia che l’associazione Coscioni ha portato in parlamento, però, dopo essere stata incardinata nel 2016 nelle commissioni congiunte Giustizia e Affari sociali della Camera è finita nel dimenticatoio.

In ogni caso, Hawking si è battuto soprattutto molto perché fossero garantiti ai malati livelli di assistenza adeguati, lanciando numerosi appelli in favore del «diritto universale» alla sanità pubblica e per un «finanziamento adeguato» del sistema sanitario nazionale, come ha ricordato ieri Jeremy Corbyn durante il question time della premier britannica Theresa May.

E naturalmente la sua storia riaccende i riflettori sulla ricerca scientifica che negli ultimi anni, anche grazie ai finanziamenti Ue, sta facendo grandi passi avanti nel campo. E sulla libertà della ricerca scientifica che Luca Coscioni, e poi la sua associazione, hanno posto al centro delle loro battaglie attorno alle quali, negli ultimi quindici anni, hanno saputo raccogliere il consenso di oltre cento premi Nobel.