Esistono tre Stéphane Audran. Anzi, tre e mezzo. La prima salta sul carro della Nouvelle vague dall’inizio ma con due film sfortunati, entrambi del 1959, e in ruoli minori : Il segno del leone di Eric Rohmer e I cugini di Claude Chabrol. I cugini non è un successo, né per lei né per Chabrol così come il successivo Donne facili, ma l’incontro con l’ex critico dei Cahiers du cinéma è decisivo. Comincia un soldalizio tra i più importanti (e più belli) del cinema francese.

Tra ruoli principali e secondari, Stéphane Audran – scomparsa ieri a 85 anni – gira insieme a Chabrol almeno venti film. È in tutti i suoi più importanti lungometraggi degli anni sessanta e settanta. È con lei che Chabrol realizza, un film dopo l’altro, una sua commedia umana, un’opera al tempo stesso monumentale e discreta di cui si possono ricordare solo alcuni grandi titoli : Le cerbiatte del 1968, l’anno dopo Stéphane, una moglie infedele. Chabrol tesse intorno a Audran, che ha sposato nel 1964, una sorta di persona cinematografica che da un film ad un altro conserva il nome di Hélène (missione stravolta dai distributori italiani). Non si tratta di un personaggio, come l’Antoine Doinel di Truffaut. Quello di Hélène è piuttosto qualcosa a metà tra un tipo umano e un certo modo di recitare.

Audran era nota per il suo stile sottile e misurato. I suoi modi, alteri senza apparire altezzosi, s’accordano con una corporatura longilinea e con i tratti spigolosi del suo volto. Si è detto che fosse fredda. Non lo era – basta osservarla accanto a Jean Yann ne Il tagliagole (1970). Ma è vero che il suo era l’erotismo delle attrici di Hitchcock, che proprio attraverso una glaciale indifferenza esteriore lasciano immaginare una carica erotica sotterranea. I ruoli che via via le sono stati proposti sono quelli in cui la sua bellezza simboleggia l’apparire di una distanza incolmabile.

Con queste premesse Audran inizia una carriera americana che funzionò, appunto, solo a metà – con, tra l’altro, lo sfortunato episodio di The Other side of the Wind, film mai terminato di Orson Welles.
C’è però una seconda Stéphane Audran che conosciamo soprattutto grazie a Louis Bunuel che la vuole nel sestetto del Fascino discreto della borghesia (1972). Chabrol disse che era una sintesi di tutto quello che Audran aveva fatto con lui. In realtà, si trattava più di una riflessione, dove l’attrice sembra mettere in scena la propria stessa metafisica : interpretare la propria stessa interpretazione, con intelligenza e ironia tanto più accentuate che, ancora una volta, tenute a freno.

La terza Stéphane Audran è quella del dramma storico di Gabriel Axel, Il Pranzo di Babette (1987), il suo ultimo film da protagonista. Quello della comunarda rifugiata in Danimarca è un ruolo assai diverso da quelli a cui ci aveva abituati, e nel quale il suo corpo è filmato come presenza fisica ed espressione materiale del tempo, della fatica, dell’emozione, del semplice vivere quotidiano. Emerge allora un’altra Audran, ma che nessun cineasta è riuscito o ha voluto sfruttare.