«Per eliminare ogni equivoco dico subito che sosterrò la lista Tsipras e la voterò». Stefano Rodotà chiarisce la natura delle osservazioni pubblicate in un recente articolo da «La Repubblica» che hanno scatenato una ridda di interpretazioni «in base ad un titolo che non era mio – afferma – In realtà ho cercato di fare un tentativo di analisi politica. Ci viene detto che siamo in emergenza, che i numeri non ci sono e che Renzi è l’ultima spiaggia. Questo è un modo per blindare il suo governo. Una cosa inammissibile. Io ritengo invece che il ruolo della politica stia proprio nel progettare vie d’uscita dalle situazioni presentate come emergenziali. E non credo, come invece fanno alcune interpretazioni dietrologiche, che la lista Tsipras, i transfughi del Movimento 5 Stelle, i deputati di Civati o Sel possano divenire una stampella per il Pd. È un ragionamento politicistico che francamente non mi interessa».

Ha comunque espresso alcune perplessità sulla lista Tsipras…

Considerata l’importanza della situazione, non voglio dare rilevanza a quelli che possono essere sbrigativamente considerati i rischi che corre questa lista, ma ai problemi veri che stanno emergendo. Non mi sono affatto ignote le difficoltà legate alla composizione delle liste elettorali, in questi casi ci sono sempre conflitti e contrasti. Non si può tuttavia trascurare la differenza che c’è tra una valutazione e la scelta delle persone. Questo problema si può riflettere sulla campagna elettorale. I problemi ci sono e bisogna affrontarli adesso. Anche per evitare che vengano strumentalizzati in seguito.

Qual è il primo problema che vede?

Questa lista di cittadinanza sarà un taxi che porterà, come mi auguro, dei parlamentari a Bruxelles, ma che in seguito si ripartiranno in gruppi diversi? È un’ipotesi, certo, che secondo me non dovrebbe essere confusa con il necessario pluralismo che una lista simile deve esprimere. Ma se questa operazione, che è importantissima per l’Italia, dovesse dissolversi subito dopo il voto, sarebbe certamente un problema.

Si riferisce al rapporto tra il gruppo dei socialisti di Schultz e quello della sinistra europea che ha candidato Tsipras alla presidenza della Commissione Ue?

Mi pare che si vada materializzando questo problema, anche se i promotori della lista ritengono che sia possibile risolverlo. Bisogna averne consapevolezza evitando di pensare che ogni problematizzazione leda la maesta della lista Tsipras. Per me questo è un passaggio difficile, ma essenziale, da affrontare.

La suggestione dell’esperienza di Siryza è molto forte, ma sembra fuori dalla portata delle sinistre italiane. Un percorso simile potrebbe nascere da questa lista?

L’Altra Europa con Tsipras non esprime un soggetto sociale già costruito e stabilizzato. Il riferimento a Syriza potrebbe essere d’aiuto per evitare di rinchiuderla in un contesto autoreferenziale. Ma il lavoro da fare è tantissimo. Siryza si è formata dopo un’operazione politica e di insediamento sociale importante. Questa campagna elettorale europea non può costruire un soggetto sociale, ma dovrebbe essere capace di trovare un modo per fare esprimere queste esigenze in maniera comprensibile e coerente.

Sono state sollevate perplessità sulla scelta di persone note come Barbara Spinelli, Adriano Prosperi o Moni Ovadia di dimettersi dopo l’eventuale elezione. Non crede che bisognerebbe evitare i «candidati civetta»?

Hanno giustificato questa decisione per un fatto di onestà e di trasparenza per gli elettori. Così facendo vogliono dare il massimo sostegno e responsabilità a chi partecipa alla lista. Ho apprezzato molto le loro ragioni. Altri, a cominciare da Berlusconi, si sono fatti eleggere per trainare una lista e poi non sono mai andati a Bruxelles. La mia non è un obiezione, e non intendo calvacare chi la sta facendo. Si tratta però di un tema già sollevato nei mondi a cui fa riferimento la lista Tsipras e rischia di essere riproposto. Non voglio fare l’elogio dell’importanza della comunicazione, ma bisogna usare il linguaggio più adeguato.

È stato dato rilievo alla contrapposizione tra le candidature di Sonia Alfano e Luca Casarini, un conflitto improprio considerate le regole poste dagli stessi «garanti» della lista per i quali Alfano era già in partenza incandidabile per avere ricoperto incarichi politici precedenti. Un episodio che sembra tradurre due idee di sinistra: la prima incentrata sulla legalità e la società civile, la seconda sui diritti sociali e i movimenti. Potranno mai coesistere?

Di certo non sono incompatibili. Tra l’altro, questo sta già avvenendo da tempo, ad esempio con «Libera» di Don Luigi Ciotti. Ma il discorso è senz’altro più ampio e riguarda la grande questione dell’unione tra diritti civili e sociali, tra i diritti delle persone e quelli del lavoro. Il problema riguarda il modo in cui è possibile saldare diritti costituzionali e diritti sociali. È la prospettiva sollevata da Gustavo Zagrebelsky in una recente intervista su Il Manifesto, una persona che non mi sembra affatto insensibile al rispetto della logica della legalità. Su questo punto nemmeno io sono reticente. La legalità richiede un’idea forte di moralità pubblica, non c’è alcun dubbio.

In cosa si distingue questo approccio dai discorsi prevalenti sulla «cultura» della legalità?

Risponde ad una prospettiva politica che ha solide basi culturali. Io ci credo molto e vedo crescere la consapevolezza dal referendum sull’acqua bene comune dal 2011 in poi. Per questo vado a Parma da Pizzarotti (5 Stelle) che ha presentato un pacchetto di sette delibere dalle unione civili al garante dei detenuti alla cittadinanza civica ai bambini degli immigrati. Per la stessa ragione appoggio la Fiom di Landini e gli autoconvocati che hanno il merito di non essersi accontentati degli strumenti storici dell’azione sindacale, come lo sciopero, e hanno condotto una battaglia costituzionale sulla riammissione dei rappresentanti sindacali nelle fabbriche. Per affrontare l’asimmetria con il potere oggi bisogna costruire una cultura politica e giuridica alta, non limitandosi a soluzioni emergenziali o frammentate. La lista Tsipras, alla quale partecipa anche il movimento per l’acqua, potrebbe avere un ruolo importante promuovendo una coalizione sociale, esattamente quello che cerco di fare a partire dalla manifestazione del 12 ottobre. Con Spinelli, Prosperi o Ovadia, la lista esprime questa aspirazione e una grande apertura culturale. Esattamente il contrario di chiusure identitarie o il ripiegamento sulle ideologie del Novecento.

Parlare di coalizioni sociali significa anche interloquire con i movimenti della casa e per il reddito. In occasione della manifestazione sulla «Via maestra» del 12 ottobre e di quella del 19 ottobre è emersa una certa contrapposizione che sembra tornare oggi nella critica dell’elitarismo dei promotori della lista e i loro riferimenti alla «società civile». Si riuscirà mai ad impostare un lavoro comune?

Me lo auguro, anche perché in questi casi il riferimento ai diritti fondamentali, la casa o il reddito, è fortissimo, come altrove. Se questa lista andrà oltre la soglia del 4% si apriranno opportunità per tutti. Chiamarsi fuori va benissimo, ma vorrei rovesciare l’accusa.

In quali termini?

Chi oggi si chiama fuori lo fa in modo elitario per salvaguardare la legittimazione di movimenti legati a battaglie concrete. Ma questo nessuno lo mette in discussione. Dico solo che in un momento come questo si potrebbe ottenere anche il sostegno di chi va nella tua stessa direzione. È una vecchia storia dei movimenti. Il contatto con le istituzioni sembra minacciare la capacità di azione sociale e impone compromessi. Ma in politica bisogna anche prendersi il rischio dell’innovazione quando questa è necessaria. Secondo me queste critiche non sono giustificate.

La manifestazione a difesa della Costituzione del 12 ottobre non ha prodotto un seguito. In che modo pensate di riavviarne il percorso, visto che Pd, Forza Italia e Ncd continuano a propore nuove e rischiose riforme?

Ci stiamo riorganizzando e pensiamo di insistere su una serie di proposte di leggi popolari sulla partecipazione, sull’iniziativa legislativa popolare, sul reddito di cittadinanza anche se declinato oggi nella forma più semplice del reddito minimo. Stiamo studiando le possibilità di un referendum che riguardi il pareggio di bilancio introdotto nell’articolo 81 della Costituzione in maniera frettolosa e senza alcuna discussione. Non era obbligatorio, altri paesi come la Francia non l’hanno fatto. Ma è una misura terribile che schiaccerà questo paese sotto il peso dell’austerità. Visto che oggi esiste la lista Tsipras non ho dubbi che questa prospettiva possa essere interessante politicamente anche per loro.