Nella grande attenzione mediatica che la morte di Stefano Rodotà ha ricevuto, è rimasto in ombra – con poche eccezioni – il ruolo essenziale da ultimo svolto nella difesa della Costituzione.

Il 13 ottobre 2015, per il voto in Senato, lanciammo su queste pagine un primo immediato appello di giuristi e costituzionalisti contro la riforma Renzi-Boschi. Recava solo sei firme, e Rodotà c’era. Tra i pochissimi, dunque, che senza se e senza ma si schierarono da subito contro il tentativo di sovvertire la Costituzione nata dalla Resistenza. Altri seguirono poi, ma con cautele e distinguo. E molti di più si schierarono a favore, magari dichiarando che la riforma era pessima.

Ha preso parte alle campagne referendarie, sia per la raccolta delle firme contro la riforma costituzionale e l’Italicum, sia a quella per il voto del 4 dicembre. Ha speso così le sue ultime energie, ed è stata la scelta più coerente con la sua vita negli studi e in politica. Sabato 24 giugno l’assemblea nazionale del Coordinamento per la democrazia costituzionale gli ha reso un omaggio dovuto. Ma Rodotà può ancora darci un’ultima lezione per le battaglie che verranno.

Chi conosce il mestiere di professore universitario sa che la fatica più grande non è nell’aggiornamento continuo, nel cercare l’ultima nota, il libro più recente, l’esperimento più avanzato. È invece nello sforzo di mantenere il contatto con giovani che ogni giorno sono un po’ più lontani, più diversi. Di usare parole che superino l’appartenenza di chi parla a mondi che per chi ascolta sono già storia. Come costituzionalista, avvertivo che per i miei studenti, con poche eccezioni, la Costituente era alla pari con Alessandro Magno o Giulio Cesare. E che dunque era cruciale portare quel mondo nella consapevolezza dell’oggi.

Ebbene, la grande magia di Stefano era che sapeva parlare ai giovani. L’ho visto trarre platee studentesche a un ascolto silenzioso e attento. Un risultato che pochi raggiungono, e l’ho apprezzato in specie per questo. Qual era il suo segreto? Forse, la pacatezza e la semplicità eloquente dell’esposizione, la capacità di intrecciare temi apparentemente astratti con gli elementi propri dell’oggi, come internet e la privacy. Forse, la dichiarata volontà di vivere il cambiamento e cercare nuove verità, ma tenendo fermo l’aggancio con quel che riteneva essenziale, come i diritti.

Questa è la lezione. Oggi, per una sinistra che non vuole essere di combattenti e reduci, farsi ascoltare dai giovani è cruciale. Come ha fatto un paleo-socialista come Corbyn a convincere i giovani a votarlo in massa? Apparentemente, le parole d’ordine erano antiche e polverose, ma sono sembrate nuove e piene di speranza per generazioni nate nell’oppressione del neo-liberismo, del cieco dominio della finanza, della crescita esponenziale delle diseguaglianze e della ingiustizia sociale.

Nella politica italiana si sgomita confusamente, in specie a sinistra. Ma non basterà l’assemblaggio di facce nuove, seminuove o di usato sicuro, per belle che siano, a guadagnare il consenso dei giovani. Non credo che un giovane, magari al voto per la prima volta, percepisca una diversità originaria tra Speranza, Orlando, Bersani, Pisapia, Fratoianni, Montanari. A meno che non sia un galletto allevato in batteria in qualche avanzo di partito, sono alla pari nomi che non gli dicono nulla. Né credo si mobiliti per l’attuazione piuttosto che per l’aggiornamento della Costituzione. Rimangono parole d’ordine da iniziati, per lui astratte e insignificanti.

Sarà decisivo il messaggio. Quale discontinuità? Quale supporto pubblico per un futuro migliore? Quale opportunità per una istruzione di qualità, per un lavoro stabile e dignitosamente retribuito, per formare una famiglia? Quale garanzia che l’ascensore sociale riprenda la corsa? Come cambiare le priorità del paese per trovare le risorse necessarie? A quali leggi metter mano, da subito?

Bisogni, diritti, speranze. Con queste parole, e con la semplice eloquenza di cui Rodotà era capace, una sinistra unita può scrivere un progetto credibile e competere. Su questo torneremo. Lo spazio c’è, soprattutto dopo la secca sconfitta del renzismo nei ballottaggi, perché il progetto politico di Renzi è Renzi, e basta. Ma si deve saper cogliere l’occasione.