Quei sette minuti di applausi al Festival di Venezia non erano che l’inizio. Uscito il 12 settembre al cinema e contemporaneamente su Netflix, «Sulla mia pelle», il film di Alessio Cremonini prodotto dalla Lucky Red e da Cinemaundici che racconta l’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi, quella trascorsa – in agonia – mentre era in carcerazione preventiva sotto la custodia dello Stato, sta riempiendo le sale di tutta Italia e sta dando luogo a fenomeni di massa inaspettati.

«A Milano, Roma, Bergamo, Brescia, Bologna, Parma, Senigaglia, Fano, Riccione, e in molte altre città italiane in questi giorni ci sono state tantissime iniziative spontanee autorganizzate di proiezione del film», riferisce dal proprio profilo Facebook l’associazione «Stefano Cucchi onlus» fondata due anni fa da Ilaria, la sorella del giovane morto il 22 ottobre 2009 nel reparto penitenziario dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, una settimana dopo essere stato arrestato per detenzione di stupefacenti da cinque carabinieri che attualmente sono imputati nel processo bis.

«Come associazione non abbiamo fatto nemmeno in tempo a lanciare il progetto “Stefano Cucchi in ogni città” perché di fatto quella che era l’idea di fare iniziative in tutta Italia anche al di fuori del circuito cinema era già partita spontaneamente non appena uscito il film».

Venerdì sera per esempio a Roma il collettivo studentesco «Sapienza pirata», che sfidando i divieti dei produttori ha organizzato all’università una proiezione pirata del film (malgrado Netflix), non si aspettava proprio di vedere arrivare dentro la più antica città universitaria della capitale almeno il triplo del migliaio di spettatori preventivati. Una marea umana di studenti e non solo che straripava dal pratone de La Sapienza e riempiva i vicoli limitrofi come durante le storiche occupazioni. In tanti hanno potuto solo ascoltare l’audio, non trovando posto davanti al maxi schermo. Ma molti ragazzi spiegano che in ogni caso torneranno a vedere il film al cinema, «per non perderci alcun dettaglio – ragiona qualcuno, birra e pizza alla mano – ma anche perché è giusto pagare per un lavoro e una produzione cinematografica che ha mostrato tanto coraggio».

Anche le lacrime che Alessandro Borghi ha versato al termine della presentazione ufficiale a Venezia non erano che l’inizio. Il pubblico nelle sale, e perfino quello scomposto e vociante delle piazze, rimane palesemente commosso e particolarmente silente. Come se quel vuoto, quel dolore e quella solitudine che la splendida interpretazione di Borghi (nei panni di Stefano) restituisce efficacemente fosse penetrata sotto lo strato epidermico di ciascun spettatore. E ammutolisce anche la sensazione di impotenza e di scoramento – che è la stessa che deve aver provato lo stesso Stefano Cucchi, sia pur consapevole di aver commesso un reato – davanti all’impunita violazione del diritto proprio da parte dei rappresentanti dello Stato, e all’omertà che paralizza il corso della vera giustizia.

Quel sospiro di dolore – nitido nella registrazione originale del tribunale che accompagna i titoli di coda – emesso da Stefano Cucchi durante la sua deposizione davanti al giudice che confermerà la custodia cautelare in carcere senza neppure alzare lo sguardo su quel viso pestato a sangue, è un pugno allo stomaco che soffoca.

Venerdì dalla Sapienza è partito un appello a partecipare, il 27 settembre prossimo, ad un sit in davanti a Piazzale Clodio, in occasione della prossima udienza del processo bis durante la quale verranno interrogati i testimoni a difesa degli imputati, i cinque carabinieri che arrestarono Cucchi, tre dei quali (Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco) accusati di omicidio preterintenzionale, e altri due (Vincenzo Nicolardi e il maresciallo Roberto Mandolini) di falso e calunnia.