Stefano Cucchi sarebbe morto per denutrizione e per «trascuratezza e sciatteria» dell’attività dei cinque medici dell’ospedale Pertini che il 5 giugno scorso vennero condannati per omicidio colposo. E non per le lesioni vertebrali, come sostenevano i consulenti di parte civile. Ma nelle motivazioni della sentenza depositate ieri dalla III Corte d’Assise di Roma i giudici mettono anche nero su bianco la convinzione che il pestaggio ai danni del giovane tossicodipendente romano rinchiuso a Regina Coeli la mattina del 16 ottobre 2009 e morto sei giorni dopo nel reparto penitenziario del Pertini, sia plausibilmente avvenuto per mano dei carabinieri che lo avevano in custodia e non degli agenti della polizia penitenziaria, unici imputati, che vengono perciò prosciolti.

Una «tipica sentenza italiana», secondo Ilaria Cucchi che promette: «La impugneremo e andremo avanti». Perché, spiega, «ipotizza che il pestaggio possa essere stato compiuto dai carabinieri senza però trasmettere gli atti ai pm per fare ulteriori indagini».

Un dispositivo di 188 pagine, quello della Corte d’Assise, che l’avvocato Alessandro Gamberini, legale della famiglia Cucchi, considera «eccessivamente elementare», «schiacciato sull’ipotesi della morte per sindrome da inanizione senza alcuna considerazione della catena causale non interrotta dalla negligenza dei medici che ha influito fortemente sulla capacità vitale reattiva del giovane». Tuttavia, prosegue Gamberini, «la sentenza critica di fatto il lavoro dell’ufficio dei pm perché assume che non siano state fatte indagini adeguate sui responsabili del pestaggio». Le motivazioni della sentenza infatti, spiega ancora il legale dei Cucchi, «collocano plausibilmente il pestaggio tra l’1.30 e le 3 della notte, ossia nella fase successiva alla perquisizione dell’abitazione di Stefano, prima del suo trasferimento alla caserma di Tor Sapienza».

Eppure, ricorda l’avvocato Gamberini, «quando Stefano viene trasferito dalla caserma a Piazzale Clodio per la convalida dell’arresto non si lamenta come dovrebbe se avesse una frattura dell’osso sacro. Lo fa invece per la prima volta durante l’udienza». Perciò, per Gamberini, «la motivazione del proscioglimento degli agenti di custodia è congetturale, fantasiosa e contraddittoria».

La Corte d’Assise, invece, oltre a rigettare la tesi dei consulenti di parte civile secondo cui la morte sarebbe stata provocata dalle lesioni vertebrali, non vede «perché gli agenti di custodia, avendo avuto l’opportunità di portare Cucchi in un luogo in cui non è noto cosa sia occorso, non lo abbiano pestato in quel luogo e in quel momento, attendendo invece di farlo nelle celle dove potevano essere sentiti da altri detenuti e/o da altri operanti in attesa delle convalide».

Per i giudici invece «in via del tutto congetturale potrebbe ipotizzarsi che Cucchi sia stato malmenato dai carabinieri al ritorno dalla perquisizione domiciliare, atteso l’esito negativo della stessa laddove essi si sarebbero aspettati di trovare qualcosa».