Un altro intellettuale verrà indagato dalla Procura di Torino? Dopo Erri De Luca, accusato di aver istigato al sabotaggio del cantiere di Chiomonte, e Gianni Vattimo, falso ideologico, inizieranno delle indagini anche sullo scrittore Stefano Benni? Questa la domanda che ieri serpeggiava nell’aula bunker del carcere delle Vallette a Torino, dove si sta svolgendo il maxi processo a 53 militanti del movimento No Tav, accusati di aver partecipato agli scontri dell’estate 2011 in Val Susa.

Lo scrittore bolognese il 9 dicembre del 2013 ha scritto una lettera a Mattia Z., accusato insieme ad altri tre ragazzi di «attentato con finalità terroristiche, atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi, oltre che detenzione di armi da guerra e danneggiamenti». I quattro rischiano trenta anni di carcere, perché avrebbero fatto esplodere un compressore del valore di ottantamila euro durante un’azione notturna.

Stefano Benni così scriveva alla fine del 2013: «Per Mattia, da tua madre vengo a sapere del tuo momento difficile. Non ti conosco. Ma ho avuto la tua età e mi sono ribellato, e ho provato rabbia e ho conosciuto, anche se per breve tempo, la prigione militare. Non ho nessuna lezione da darti, se non questa: quando ero chiuso in caserma, leggevo, parlavo con i miei compagni, scrivevo. Tutto, pur di non sprecare il mio tempo, pur di non darla vinta a chi mi aveva privato della libertà. E ci sono riuscito. Non conosco la tua storia, immagino sia quella di molti giovani che vivono in questo paese apparentemente senza anima e senza speranza. Mio figlio ha scelto di lavorare all’estero, nelle emergenze umanitarie. Tu hai scelto di batterti per le cose in cui credi. Finché ci saranno giovani come voi, anche se diversi nelle idee e nelle forme di lotta, mi viene da pensare che questo paese abbia ancora un pezzo di anima e un respiro di speranza. A volte si è più liberi dietro un muro, che in un deserto di indifferenza. Tieni duro».

Parole importanti, che giungono in un momento in cui il monolito totemico «Torino-Lione» scricchiola per l’opposizione popolare che incontra sul territorio, ma soprattutto perché corposi blocchi sociali e culturali non accettano più una visione dogmatica. La speranza del movimento è che le righe scritte da Benni a Mattia Z. possano incidere anche sul clima non sereno che si respira durante processo, che ieri ha visto le prime testimonianze a difesa degli imputati: molti amministratori locali, un consigliere regionale del Movimento Cinque Stelle e perfino il parroco della parrocchia di Almese.

Una situazione molto pesante, come testimonia Andrea Vitali, rinviato a giudizio per gli scontri del 3 Luglio 2011: «Il processo si svolge in un brutto clima, a volte verrebbe da pensare a una sentenza già scritta. La scelta dell’aula bunker delle Vallette, che di regola ospita i processi alla mafia, la cadenza bisettimanale delle udienze, e le limitazioni palesi al diritto di difesa sono solo alcuni esempi del clima che si respira».

La sentenza giungerà entro la prossima estate.