Per questo album, il primo interamente registrato e suonato come one-man-band, il batterista Stefano Bagnoli ha scelto lo spirito guida del poeta «maudit» Arthur Rimbaud: il ragazzo dalle «suole di vento» che stregò e scandalizzò, sovvertendone le regole, il perbenismo borghese francese di fine ottocento, prima di abbandonare la poesia e diventare commerciante in Africa, per poi morire a meno di 40 anni per un’infezione mal curata proprio in quell’Europa mai sopportata fino in fondo. L’operazione del disco ha un antecedente illustre: il concept-album Sahara Blue che Hector Zazou realizzò nel 1992, anno del centenario della morte del poeta. Però a differenza di Zazou, che tentava di dare un vestito «new wave» e neo sperimentale ai versi e alle lettere rimbaudiane, il musicista del Devil Quartet ritaglia biografia e critica nell’indispensabile booklet, concentrandosi sul dar forma a suggestioni personali che rammentano estetiche primo-novecentesche (chissà se al batterista è corso il pensiero a Kandinskij) nell’uso rarefatto e frammentato del suo set strumentale.