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Stefania Stella, fatalmente cult

foto Stefania StellaStefania Stella

Intervista La protagonista, produttrice, cantante, ballerina di «Fatal Frames» si racconta tra ricordi e progetti futuri

Pubblicato circa un anno faEdizione del 22 luglio 2023

«All’epoca ero un po’ una «prezzemolina». Passavo dalla danza a correre con le moto, alle prime esperienze in televisione, poi il cinema», così Stefania Di Giandomenico inizia la nostra chiacchierata.

«Il mio nome per intero è Stefania Stella Maris Di Giandomenico, poi, quando iniziai coi lavori più importanti, Al Festa mi suggerì di adottare Stefania Stella. Sono nomi veri, niente d’inventato».

L’abbiamo raggiunta per farci raccontare aneddoti di una carriera iniziata nei primi anni Ottanta: «Ero una pischella, un po’ maschiaccio», racconta mentre fa mente locale tra i ricordi che tornano a galla. Per molti, però, la sua immagine resta indissolubilmente legata a Fatal Frames – Fotogrammi mortali, titolo prodotto e interpretato da lei stessa con la regia di Festa, e che gode di forte ambivalenza da parte di critica e spettatori: chi lo immola a cult movie e chi, invece, lo ritiene inevitabilmente scult.

Stefania, prima di arrivare a «Fatal Frames», vorrei ripercorrere con lei alcune delle sue esperienze lavorative: nel 1981, ad esempio, affianca Nino D’Angelo in «Celebrità» di Ninì Grassia.

Nino D’Angelo era una persona squisita. Su Ninì Grassia, eh (sospira)… Per capirci, nel mio mestiere ho dovuto lottare coi denti e con le unghie, senza mai ricevere l’appoggio di nessuno.

Con Sergio Citti e Gigi Proietti, in «Micio micio», andò meglio?

Ah sì, ho fatto anche quell’episodio di Sogni e bisogni! Proietti era eccezionale, gentile, educato… Sergio Citti era un grande amico, ricordo che mi presentò a Pasquale Festa Campanile e mi offrì un ruolo per La ragazza di Trieste, ma dovetti rifiutare.

Poi ci fu Vittorio De Sisti con «Professione vacanze» e «Tutti in palestra».

Mi chiamava spesso per i suoi lavori, era un uomo simpatico. Con lui e sua moglie eravamo molto amici. Fu Vittorio, in qualche modo, a farmi conoscere Al Festa a una serata.

Racconti…

Al, all’inizio, era contornato di belle ragazze. E mi stava pure antipatico (ride). Poi, quando ci siamo conosciuti meglio, abbiamo parlato tanto e da lì iniziò il nostro rapporto sentimentale e artistico. Per 20 anni siamo stati assieme ma, ad un certo punto, diventi come sorella e fratello. Oggi rimane comunque l’amicizia, l’affetto, l’amore nel senso più innocente del termine.

«Fatal Frames» resta, senza ombra di dubbio, il suo progetto più ambizioso: è protagonista, produttrice, cantante, ballerina. Come nacque questa scommessa?

Nel periodo in cui conobbi Festa stavo valutando di trasferirmi a New York. Lui, a quel punto, mi propose di girare il videoclip del mio brano Alibi, mi pare fosse il 1991 o il 1992. Da lì nacque la produzione del film. Al scrisse la storia, me la propose e accettai di realizzarla. Iniziammo a riprendere i monumenti di Roma, a richiedere tutti i permessi possibili… Fu una grossa fatica, ma sono contenta.

Festa stesso, in diverse occasioni, raccontò di uno stop delle riprese legato a questioni produttive.

Inizialmente dovevo solo occuparmi della produzione esecutiva. Le riprese cominciarono, ma i produttori firmarono delle cambiali a vuoto. Così, mi rimboccai le maniche e presi in mano l’intero progetto a livello finanziario, con l’aiuto di Festa. Ricordo che Bernasconi mi chiamava «la vergine di Norimberga» (ride). L’interruzione non fu, però, legata ai soldi; fu perché dopo Rossano Brazzi morì Donald Pleasence, nel 1995. Riuscimmo comunque a terminare il lavoro con la distribuzione affidata a Medusa, ma ci furono dei problemi pure su quest’aspetto sui quali preferisco non dire nulla.

Oggi il film è entrato nella nicchia dei titoli di culto. Le dispiace che sia stato etichettato come «trash»?

Certo che mi dispiace, ma fino a un certo punto. Intanto alcune riprese realizzate restano uniche, nessun altro le ha fatte come noi. All’epoca, una giovane come me che ha prodotto un film di questo tipo, con un cast importante… Enrico Ghezzi chiese una proiezione personale a Cinecittà, gli piacque e disse che c’era una forte ispirazione allo sceneggiato Il segno del comando.

A proposito del cast, come è stato possibile riunire tutti quei nomi di grosso calibro: oltre a Brazzi e Pleasence anche Albertazzi, Alida Valli, Ciccio Ingrassia…

È stato tutto merito di Festa. Ma non perché fosse il mio compagno, sono obbiettiva: andò da ognuno di loro per raccontare il progetto e accettarono tutti.

Sfatiamo o confermiamo qualche pettegolezzo: è vero che Ugo Pagliai abbandonò il set?

Pensa la gente cosa s’inventa, queste sono cazzate. È stato simpatico, disponibile, la parte gli piaceva. Casomai lo abbandonai io, il set! (risata). Una volta mi arrabbiai tanto e sparii. Prese il panico a tutti, l’assistente alla produzione mi ritrovò in ufficio dopo alcuni giorni. Forse hanno fatto confusione tra me e Pagliai (ride).

Linnea Quigley ha invece dichiarato, in maniera piuttosto ruvida, di aver girato la scena della morte del suo personaggio in condizioni «miserabili».

Mah. Girando in un castello ad Artena, fuori Roma, era ovvio che non ci fosse una doccia e che il pavimento dov’era stesa fosse gelido, ma poi fu accompagnata dal mio assistente, Angelo D’Antoni, in albergo per ripulirsi dal sangue finto. Addirittura Al, per farle un omaggio, chiamò il suo ex marito Steve Johnson per gli effetti speciali. Mi sembra molto strano quello che ha detto, anche perché tra noi c’era simpatia.

Quando «Fatal Frames» fu presentato al Fantafestival nel 1996, dove vinse il Gran Premio «Lucio Fulci», alcuni in sala reagirono negativamente e Festa non la prese bene. Lo conferma?

Forse tra il pubblico c’erano dei ragazzi alterati, non so da cosa, sbiascicavano. Ma non vorrei dire una cavolata. Lui sì, si arrabbiò, ma non fu una cosa grave. Non è per il film nello specifico: generalmente quante persone rompono le scatole in sala?

Quanto l’hanno ferita le critiche, non proprio diplomatiche, legate alla sua performance?

Ho recitato in inglese in presa diretta, ho prodotto, ho cantato, ho ballato, ero pronta ad aiutare tutta la troupe nei momenti di bisogno, che devo dire? Fossi stata «protetta» e mandata avanti da qualcuno, credo che questa ferocia sarebbe risultata più contenuta. Penso di essere stata abbastanza brava in tutto quello che ho fatto per il film. Il problema è stato quello di aver fatto troppe cose insieme: recitavo e intanto pensavo alle battute da studiare, cantavo e intanto amministravo, stavo attenta a tutti i conti… È ovvio, le critiche feriscono, ma la gente può dire quello che vuole. Non puoi cambiare il pensiero di certe persone.

Che voto si darebbe come attrice?

Mi darei, in base a tutto quello che ho fatto per questo film, un 9; come attrice, vista la recitazione in inglese in presa diretta – molto meglio della versione italiana dove mi autodoppio – un 7.

Be’, un voto discreto.

Mi dica, però, se altre mie colleghe hanno fatto tutto quello di cui mi sono occupata io per Fatal Frames. Credo di aver superato me stessa. E, soprattutto, le scene dentro Fontana di Trevi non me le toglierà nessuno.

Quali sono i suoi progetti di oggi con la Factory Productions, sua casa di produzione?

Ora sono alla prese col progetto culturale La grande luce. Padre Pio. Tra scienza e fede. Alla base di tutto c’è Misteri di scienza e luci di fede, libro scritto dal dottor Giorgio Festa, bisnonno di Al, il quale fu incaricato dalla Santa Sede di studiare le stigmate di Padre Pio. Ed è, ad oggi, l’unico trattato medico sul Santo. Con Al abbiamo messo in piedi tutto ciò per far conoscere questa storia attraverso mostre, libri… Ora vorremmo cercare uno spazio per creare una permanente. Vorrei produrre anche un film.

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