È Bernardo Bertolucci a fare sprizzare la qualità unica di Stefania attrice: «Si trova immediatamente nella sua pelle, qualsiasi sia il ruolo, e fa subito sentire il regista a suo agio». Verissimo. La Sandrelli è, da sempre, come la Cardinale degli inizi, un personaggio, e una bellezza, naturale: naturale, senza virgolette. In un video mandato dall’Italia, Perché non parlare invece di Stefania?, Bertolucci preferisce indirizzare complimenti luminosi alla sua attrice, anziché, depresso, all’indomani delle deprimenti elezioni del marzo scorso, addentrarsi nella rievocazione di Novecento («che in questo momento ritrova una tragica attualità»), programmato dalla Cinémathèque Française in edizione restaurata e integrale (quasi sei ore), al sesto ‘Toute la Mémoire du Monde’, equivalente francese dell’Immagine Ritrovata di Bologna, nel quadro dell’Omaggio all’interprete di Sedotta e abbandonata e del Conformista. Stefania sapeva essere aonvedulta, bambina, quando è entrata nel cinema a 15 anni, e sa ancora essere bambina oggi, da adulta. «Tu hai un’età sola – l’ha elogiata Walter Veltroni, in un incontro alla Versiliana anni fa –, la tua età cinematografica: per me è sempre la stessa, quella dell’adolescente di La ragazza di Lodi e di La famiglia, dove sei una mamma». «Il mio futuro sta nel mio passato, come ha detto un critico – risponde lei –. Il grande cinema, che ho avuto la fortuna di interpretare, rappresenta la base, l’impalcatura della mia carriera. È come un busto che mi ha protetta, sempre, anche nei periodi neri, nelle esperienze meno felici».

A Parigi, all’austera, cinefila Cinémathèque, Stefania – che è donna, amore e attrice – è cinema, solo cinema. Niente Gino Paoli, niente Luigi Tenco: «Erano complementari. Amavo molto Gino, era il contrario di Luigi, dotato d’una qualità che mi è cara, la fragilità, che non è debolezza, ma un’altra forza. Io sono istintiva, difficilmente l’istinto mi tradisce. Luigi era la matematica, Gino un sognatore, un poeta». Niente Mario Ceroli (segno del Toro: «che noioso!»), altro antico amore. Stefania a Parigi è solo Germi, Pietrangeli, Bertolucci, Comencini, Monicelli, Scola. Ma è inevitabile sentir riecheggiare alla master class, dietro le dichiarazioni di set, le emozioni di sé, scaturite in precedenti incontri italiani: alla Versiliana o due anni fa a Fiesole, per il Premio ai Maestri del Cinema, o, a ritroso, al cenone in suo onore al FFM di Montreal o, sempre più a ritroso…

Cara Stefania: oscuro oggetto del desiderio, amante, moglie, mamma … come fa, vergine di scuole di recitazione, a rendersi sempre così credibile?

Non ho studiato, è vero. Ma ho una scuola di set e di vita e, soprattutto, una grande curiosità: sono affascinata dalle persone, a volte anche troppo. Penso che per essere credibile, in qualsiasi ruolo, occorra un po’ sabotarlo: non «esserlo» mai fino in fondo… da madre, ci ho sempre messo dentro anche la donna e, da donna con la D maiuscola, ci ho sempre messo dentro un po’ della madre. È una ricetta che funziona anche nella vita.

Partiamo dall’inizio? L’esplosione grande schermo a 15 anni.

Non è proprio l’inizio-inizio. I miei primi film sono stati super8, tra cui un Dracula – ! –, girati da mio fratello, pianista allora e anche dopo. Fin da piccola, mio padre voleva che diventassi attrice. Morì quando avevo otto anni e da quel momento i fratelli dei miei genitori son divenuti tutti padri per me: in gran parte, però, non volevano che facessi cinema. È stata mia madre a spingermi.

E, nel ’61, Divorzio all’italiana

Pietro Germi aveva visto la mia foto in copertina su Le Ore, in Versilia, dov’ero stata eletta Miss. Mi ha chiamata per un provino. Mi ricordo ancora il viaggio in treno, da Viareggio, la mia città, a Roma, allora Hollywood tentacolare: fortunatamente, potevo contare su una struttura caratteriale forte. A Roma ho preferito partecipare subito a Il federale, con Ugo Tognazzi, persona meravigliosa: era più grande di me, ma era come se avesse la mia età. Un playboy. Io non ci pensavo, avevo 15 anni. Lo stesso con Marcello Mastroianni: anche se quando l’ho visto mi s’è fermato il cuore.

E Germi?

Se l’era un po’ avuta, ma mi richiama dopo un paio di mesi. Germi era un vero poeta della cinepresa. Viveva sul set, gioiva e soffriva tra le scenografie. L’Italia l’ha dimenticato, ma all’estero Billy Wilder lo giudicava un maestro. È stato Germi a radicare la mia passione per il mestiere d’attrice: io ero una bambina innamorata dello spettacolo, dei sogni del cinema e lui mi aiutò a esprimermi.

È vero che la prendeva a schiaffi?

Leggende metropolitane. Sul set poteva esser dolce e terribilmente egoista. Molti me l’avevano ritratto come misogino, violento, collerico: invece, era determinato, autorevole come un direttore d’orchestra. Strillava, ma dietro la sua Mitchell era un incanto. Cantava, persino, quando, tutto solo, se ne andava per il set. Mi sono fidata, e affidata a lui  : in mezzo a qualche strillo. Una volta, ha ecceduto: ero scappata per mangiare un gelato, mi aspettava, con Marcello. Caporetto: «Calma – gli ho detto, io ragazzina, lui un signore cui ho dato del ‘lei’ fino al terzo film –. Fino a due mesi fa me ne stavo qui in costume da bagno a prendere il sole, non facevo questo lavoro …».

E poi, fu Antonio Pietrangeli.

Io la conoscevo bene è uno dei pochi film con personaggio a tutto tondo, che, gira gira, tra gli oltre cento, ho interpretato. Ogni regista è diverso dagli altri. Questo è il bello. Ma nessuno mi ha fatto rimpiangere il mio primo grande regista: è stato sempre questo il mio metro di misura. Pietrangeli  aveva una sensibilità esagerata, una fragilità toccante: amava le donne, anima e corpo, lo vedevamo sedotto, intimidito dalla bellezza di noi attrici. Ho capito che gli piacevo, ma era molto rispettoso e io ero un po’ amica della moglie. La sua sensibilità, la trasferiva alle riprese, le seguiva quasi con un battito cardiaco, che si trasmetteva a me, a tutte noi. Era pignolo: mille ciak. È stato un allenamento faticoso. È successo così anche con Ettore Scola.

Un viavai di divi nella sua vita  : frastornata, sedotta, abbandonata  ?

Ho cominciato con Mastroianni! Il dente me lo sono levato subito: non c’era attore più bello e più bravo di lui! Poi, sì, film in Spagna, in Francia, uno con Belmondo, poi Dustin Hoffmann in Alfredo, Alfredo  : mi batteva il cuore, avevo visto Il laureato ... E Depardieu e De Niro in Novecento, che film, c’era tutto il cinema del mondo! Depardieu allungava un po’ le mani, ma non mi dispiaceva. De Niro era venuto a prendermi di notte, con la mia macchina: cominciava a albeggiare. L’ho guardato e gli ho detto: Ma come sei carino! Gli ho insegnato a ballare. Sul set era riservato, di poche parole. E di pochi fatti. È uno che parla con gli occhi.

Lo stesso anno di Novecento, s’è chiusa in un ascensore con Alberto Sordi, per Quelle strane occasioni. Come ne è uscita  ?

Se mi si chiede «che cosa ti limita di più nel lavoro di attrice», rispondo subito: non poter ridere. Non riuscivo a star seria un attimo. Un disastro. Immagini: bloccata in ascensore, davanti a me Sordi, sul set un grande regista come Comencini, che ogni volta doveva togliere il pannello di destra, poi di sinistra. E Sordi che adorava far l’attore fino in fondo, anche davanti a un solo spettatore, qual ero io. Ogni inquadratura era uno show: inizio, centro, finale. E alla fine voleva l’applauso.

Bertolucci: non solo Bernardo, anche Giuseppe. Segreti segreti?

È uno dei film più belli sul terrorismo. Io non sono femminista: troppo distratta e poco convinta. Non sono per dividere ma per unire. Non è un caso che non ci siano poi tanti ruoli femminili a tutto tondo nell’intera mia carriera: quanti? Due? Anche se io mi son sempre ritagliata il mio ruolo di protagonista.

 

 

RICORDI DI SCOLA

«Con Ettore Scola ho girato un film bellissimo, La famiglia, un’epopea. Lui era superironico, simpaticissimo, un grande. Era la persona che probabilmente mi conosceva meglio, da Ci eravamo tanto amati, che ha preceduto la mia master class alla Cinémathèque, anch’esso restaurato dall’‘Immagine ritrovata’ di Bologna, a La terrazza. In La famiglia, Ettore voleva farmi cominciare ragazzina e finire quando muoio, sulla 70ina. Per il provino, m’ero fatta truccare da molto giovane e poi da molto vecchia, anche più del necessario, con mille rughettine che ancora non ho (ma quasi ci siamo), anche con una parrucca più sale che pepe. Al truccatore, ho detto  : Lascia, che poi mi cambio a casa, voglio farmi vedere dai figli. ‘Sei sicura?’ Trucco pesantissimo, colla dappertutto, difficile da togliere. Arrivo, e a casa non c’è nessuno: mi son ritrovata vecchia e sola davanti allo specchio. Poi, per fortuna, ha prevalso il mio senso dell’umorismo…».

 

MI VOLEVA FELLINI

«Fellini? Non avrei mai potuto lavorare con lui: non ti dava il copione! Mi voleva per Giulietta degli spiriti, ma ero incinta, aspettavo Amanda. Ho trovato mille scuse per non incontrarlo. E tutti a dirmi  : ma sei matta ? Alla fine l’ho visto  : persona di grande spessore, ma avvertii che non era sempre sincero. Per esempio, m’aveva buttato lì: «E se m’innamorassi di te, mentre giro il film?» Ho percepito che ci giocava». Nella sua carriera tonda, completa, circolare, c’è – a parte Fellini – un buco, un rimpianto? «La ragazza di Bube: che dispiacere, non averlo interpretato. Amavo Cassola, lui amava me. Claudia Cardinale, voluta dal marito produttore, anche se il regista era Comencini, è stata comunque magistrale. Altra ferita, Il giardino dei Finzi Contini : Giorgio Bassani voleva un’attrice italiana, voleva me. Poi è uscita Dominique Sanda. Ma tutto serve nella vita: ho verificato allora che non sono invidiosa. Mi dispiaceva per me, ma ero felice per Dominique. Davvero».