«Se nulla restasse di queste pagine, la speranza è che qualcosa almeno resista: la nostra fiducia nel popolo. La nostra fede negli esseri umani e nella creazione di un mondo in cui sia meno difficile amare». Così scriveva Paulo Freire – il grande educatore che il neoletto Bolsonaro vorrebbe cancellare dall’insegnamento con il lanciafiamme – a conclusione della sua Pedagogia degli oppressi. Parole che è bene ricordare, nel momento in cui il popolo brasiliano ha scelto come suo presidente un neofascista che ha minacciato di spedire tutti gli oppositori in esilio o in galera.

A non perdere la fiducia nel popolo è sicuramente João Pedro Stedile – leader di quel Movimento dei senza Terra che Bolsonaro ha già definito «terrorista» – il quale, rispondendo alle nostre domande, invita a ripartire dai 76 milioni di brasiliani che non hanno votato l’ex capitano e da un’organizzazione popolare in grado di resistere all’offensiva dell’estrema destra.

Come ha potuto il Brasile scegliere un progetto apertamente fascista?
Le forze popolari e progressiste hanno riportato una sconfitta elettorale. Ma ciò non significa che la maggioranza del popolo abbia optato per il fascismo. Bolsonaro ha ricevuto 56 milioni di voti, Haddad 45 e altri 31 non sono andati a votare, hanno annullato la scheda o l’hanno lasciata in bianco. Abbiamo perso perché la borghesia brasiliana dominata dal capitale finanziario e dalle multinazionali ha abbandonato la formula Macron e optato per il metodo Pinochet, puntando su un governo repressivo e su un modello economico ultraliberista. Così, utilizzando tutto il suo peso economico e la sua forza egemonica a favore di Bolsonaro, la classe dominante, con il sostegno esterno di Steve Bannon (già coordinatore della campagna di Trump) e della destra israeliana, ha finanziato sulle reti sociali, diffusissime in Brasile, una campagna per bombardare il popolo brasiliano con menzogne sistematiche, appoggiandosi anche alla rete dei pastori evangelici conservatori e ai settori di destra della chiesa cattolica. Ma in ciò ha potuto anche sfruttare l’apparato statale, da un lato contando sul fanatismo militante della polizia militare, di esponenti delle forze armate e della massoneria e dall’altro utilizzando il potere giudiziario, fedele agli interessi del capitale fin dal golpe contro Dilma, per impedire a Lula di presentarsi alle elezioni, che egli avrebbe vinto al primo turno. E a tutto ciò bisogna aggiungere le debolezze organizzative della sinistra, il suo scollamento dalla base, dai più poveri e dalla classe lavoratrice in generale.

Bolsonaro si è presentato come candidato anti-sistema pur avendo sostenuto tutte le misure anti-popolari di Temer. Come ci è riuscito?
Bolsonaro si è nascosto dietro una campagna di menzogne, senza mai discutere alcun programma politico e senza mai partecipare a un solo dibattito televisivo. Celando così il suo obiettivo reale: quello di dar vita a un governo repressivo, con forte componente militare, al servizio degli interessi del capitale finanziario e delle multinazionali. È indicativo che Steve Bannon abbia parlato, in riferimento a Bolsonaro, della più importante campagna della destra mondiale, in virtù dei nuovi metodi di manipolazione di massa attraverso le reti sociali. La destra internazionale, insomma, ha trasformato il Brasile in un laboratorio elettorale, con l’obiettivo di esportarlo in altri paesi.

Il Pt ha condotto una strategia elettorale giusta?
Credo che il Pt fosse più preparato per portare avanti una campagna con Lula, il principale leader politico del paese. Con il suo arresto e il suo isolamento, ci è stata sottratta la nostra principale forza. A ciò si aggiunge l’incapacità di contrastare il bombardamento di fake news su whatsapp. E, infine, sono mancati il tempo e la volontà di condurre una campagna porta a porta, più vicina al popolo, perché nel Pt molti confidavano nel potere della televisione. Ma oggi la tv non è più uno strumento sufficiente per cambiare un’elezione.

Molti dicono che tutto è iniziato con le manifestazioni del giugno 2013 contro l’aumento del prezzo dei trasporti. Se allora il Pt avesse ascoltato di più il clamore di chi rivendicava riforme strutturali, la storia sarebbe potuta andare diversamente?
Chiaro. Ma ciò che sta dietro tutto questo è la profonda crisi economica del modello capitalista. Quando l’economia cresce, tutti possono guadagnarci. Ma, in tempi di recessione, ogni classe pensa per sé. È un po’ quello che è avvenuto con il Titanic, quando i passeggeri di prima classe si sono assicurati le scialuppe di salvataggio, lasciando che gli altri affogassero. Il governo di Dilma e i partiti di sinistra non hanno avuto la capacità e la volontà politica di spiegare alla gente la natura della crisi e, non facendolo, hanno lasciato alla destra campo libero per far ricadere tutta la colpa su Dilma e poi sul Pt e poi su Lula.

Ora ci si può attendere una guerra contro i diritti del lavoro, la popolazione nera e indigena, l’ambiente, il Mst e tutti i movimenti sociali. Quale sarà la vostra strategia?
In assenza di un movimento fascista di massa come c’è stato in Europa in passato, pensiamo che questo governo potrebbe essere più simile a quello di Pinochet o a quello filippino di Duterte, con un programma ultraliberista al servizio delle banche e delle multinazionali, comprese quelle europee e italiane. Ma ormai si sa che il neoliberismo, lo Stato minimo, la libertà incondizionata per il capitale non risolvono i problemi fondamentali del popolo. Abbiamo 14 milioni di disoccupati e 33 milioni di precari. La gente ha bisogno di impiego, casa, scuola, terra. Ed è per questo che dovrà mobilitarsi. Per prima cosa, dovremo organizzare un ampio fronte democratico contro questo governo fascista. Abbiamo una base istituzionale forte, con 12 governatori e più di un terzo del Parlamento. E un’organizzazione popolare pronta a resistere all’offensiva dell’estrema destra. Dobbiamo rilanciare il lavoro di base, per spiegare, ascoltare, organizzare comitati popolari in tutti i quartieri e i municipi intorno a quello che abbiamo chiamato «congresso del popolo», per discutere con la gente un progetto di paese. Dobbiamo rafforzare il lavoro di formazione politica e sviluppare i nostri mezzi di comunicazione popolare, anche sulle reti sociali. E portare avanti lotte di massa, che è l’unico modo di difendere i diritti e di migliorare le condizioni di vita della popolazione. E tutto questo esigerà dalla sinistra processi di rinnovamento e di unione delle forze popolari