Dopo mesi e mesi passati ad esultare per i dati sull’aumento del numero dei contratti poi puntualmente smentiti da quelli sull’occupazione dell’Istat, ieri per la prima volta anche l’ente di statistica ha certificato il segno più in fatto di posti di lavoro. Niente di eccezionale. Anzi, in verità, ben poca cosa. Ma quel più 159mila che abbassa il tasso di disoccupazione al 12,6 per cento (meno 2,2 per cento su marzo) basta e avanza al governo per suonare la gran cassa avendo per la prima volta i gufi dell’Istat dalla propria parte. Renzi ha impiegato pochi minuti per twittare tutta la sua contentezza – «Avanti tutta su riforme: ancora più decisi #lavoltabuona», il testo nel quale sottolinea come si tratti del primo mese intero in cui è in vigore il Jobs act – il contratto a tutele crescenti è utilizzabile dal 7 marzo – sebbene dovrebbe spiegare lo stesso concetto ai tanti renziani che continuano a sostenere nei telegiornali e nei dibattiti televisivi che il Jobs act sia tutto: sgravi contributivi sulle assunzioni e perfino il decreto Poletti sui contratti a tempi.

In realtà il dato positivo di aprile è figlio in buona parte proprio della debacle che il governo sconto a marzo, quando l’Istat gelò i conti di Poletti e Boeri (anche l’Inps ci mise la faccia sull’aumento del numero dei contratti) certificando il calo degli occupati e quindi il fatto che i nuovi contratti fossero semplicemente sostitutivi di contratti precedenti.

Più obiettivo è quindi considerare il bollettino dell’Istat che riguarda il primo trimestre dell’anno. Ebbene, da gennaio a fine Nel primo trimestre 2015 continua a crescere il numero di occupati su base annua (+133 mila unità, 0,6%). Nel primo trimestre 2015 il tasso di disoccupazione, cresciuto ininterrottamente dal terzo trimestre del 2011, scende al 13,0 per cento (-0,6 punti percentuali in confronto a un anno prima).

A trainare l’aumento dell’occupazione però non sono – come ci si aspetterebbe e come vorrebbe il governo – i giovani. Bensì gli over 55: nel primo trimestre 2015 gli occupati con più di 55 anni sono 267mila in più rispetto allo stesso periodo 2014. Se una parte di questi ha solamente un anno in più – e sconta l’aumento dell’età pensionabile dovuto alla riforma Fornero che dal 2010 a oggi ha fatto aumentare di un milione il numero di “anziani” al lavoro – la fetta maggiore è rappresentata da espulsi dall’industria (settore che continua a perdere posti di lavoro con un meno 0,9 per cento anche ad aprile in controtendenza col boom prolungato dell’agricoltura che ad aprile ha toccato un più 6,2 per cento) che pur di trovare un’occupazione per arrivare alla pensione sono disposti a tutto: lavoro sottopagato in ambiti lontanissimi da quelli in cui sono stati occupati prima della crisi.

Il numero di giovani disoccupati infatti mostra solo un lieve calo su base mensile (-8 mila, pari a -1,3%), inferiore alla media totale. Dato leggermente più positivo riguarda il calo degli inattivi – coloro che non cercano neanche un lavoro – sceso ad aprile dell’1,0 per cento nel confronto mensile (-44 mila unità).

A completare il giorno da leone del governo anche l’Outlook dell’Ocse che promuove la riforma del lavoro sostenendo che il Jobs Act «ha il potenziale per migliorare drasticamente il mercato del lavoro» e aumenta la stima di crescita del Pil sul 2016, portandola all’1,5 per cento (per quest’anno rimane ad un misero 0,6 per cento).

Tra i commenti trionfalistici spiccano quello dell’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi: «Finalmente il mercato del lavoro italiano si muove davvero. I datori di lavoro sembrano aver voluto attendere la combinazione tra azzeramento dei contributi e nuove regole sui licenziamenti entrate in vigore nella prima decade di marzo. Ora, come suggerisce l’Ocse, dobbiamo completare le riforme accrescendone il contenuto innovatore».