Mancano pochi minuti alle 18 quando Riccardo Fraccaro, colonnello grillino poco barricadero e molto istituzionale considerato vicinissimo a Luigi Di Maio, sgattaiola dai vicoli che dal Pantheon conducono verso il Palazzo. Viene sorpreso da un gruppo di fan padani, che gli pongono le fasce bianche simbolo della giornata di piazza del Movimento 5 Stelle contro la legge elettorale. Nasconde con consumata abilità la fatica, stringe mani, afferra le bende che gli vengono regalate. Poi il deputato scuote il drappello: «Be’? Ce la facciamo una bella foto di gruppo?». E via di selfie in location archeologica.

Ma la vera foto di gruppo di questa giornata ruota tutta attorno Beppe Grillo, che l’altra volta davanti alla Camera non c’era e che adesso si presenta, seppure influenzato, con tutta la sua capacità di stregare la platea. Il fondatore arriva in una piazza già piena, previo incontro riservato con lo stesso Fraccaro e col suo collega Alfonso Bonafede che assieme a lui vigilia sulla sindaca di Roma Virginia Raggi. Al vertice partecipa anche Massimo Colomban. L’imprenditore veneto che Davide Casaleggio aveva voluto assessore romano alle partecipate si è dimesso da poco usando parole che invitano alla moderazione: «Il M5S deve cercare di perseguire l’innovazione con pragmatismo e gradualità senza danneggiare l’economia». «Governare una città come Roma avendo contro il governo, la regione, le banche è impossibile», dirà serio Beppe Grillo.

Quando il comico arriva sul palchetto montato alla destra del Pantheon, tra una colonna e una filiale del Monte dei Paschi di Siena, gioca tutta la sua abilità per modulare rabbia e moderazione, eccitazione e contenimento. La piazza lo segue, urla e sorride, si stringe e si sbraccia. «Abbassate le bandiere, siamo qui per fare una battaglia per tutto il popolo italiano», intima. Poi Grillo invita tutti a «cospirare», specifica che intende esortare tutti a fare campagna per il Movimento 5 Stelle «sottovoce»: «Adesso dovete andare via in silenzio, non fate molte escandescenze: cospirate, quando dovete invitare delle persone dentro il movimento ditelo a bassa voce, ci difendiamo così». Evoca il Parlamento assediato dalle forze dell’ordine, un grande classico fin dalla prima repubblica: «La polizia giustamente ci ha consigliato di stare qua perché era complicato stare intorno al Senato. E io ho consigliato alla polizia di andare loro intorno al Senato e di accerchiarli. Non hanno più la maschera dei malfattori, ormai sono a volto libero, non dobbiamo scoprire più niente».

Poi lancia una vera e propria «sigla finale» (la chiama così), un blues cantato da lui accompagnato da clip sugli schermi. Parla di un uomo che ha «visto la luce e sentito una voce». Temi classici della musica nera che usati in un contesto post-politico come questo assumono anche altri significati. «Venite in Sicilia a vedere che cosa succederà – aveva detto lasciando l’hotel sui Fori che lo ospita – Chiediamo un atto di fede».

Grillo introduce Luigi Di Maio, lo chiama senza mezzi termini «il premier». Lui arriva fresco dall’agone siciliano, dove da domani ricomparirà proprio assieme al fondatore, per il rush finale che nei suoi piani dovrebbe rappresentare il trampolino di lancio dalla Sicilia verso Palazzo Chigi. «Per cambiare l’Italia noi partiamo da lì – conferma il genovese – E se cambieremo la Sicilia, sarà una vittoria tripla e poi cambieremo anche l’Italia».

Di Maio disegna uno scenario tutt’altro che luminoso, una specie di elogio dell’incertezza: «Stanno votando una legge elettorale fatta in modo che scientificamente nessuno vinca le prossime elezioni, visto che Forza italia e Pd vogliono mettersi insieme e fare un nuovo governo dell’inciucio – dice il neo-leader grillino – Ma per farlo devono raggiungere il 51%. Siamo noi l’unica possibilità di formare un governo dei cittadini. Creando incertezza fanno diventare il Movimento sempre più determinante!».

In Sicilia andrà anche Alessandro Di Battista, che firma copie del suo libro. Quando prende il microfono punta il presidente della repubblica: «Mattarella ha firmato una legge incostituzionale come l’Italicum – dice Di Battista – Dovrebbe stare molto attento a firmare un’altra volta. Mi auguro che ci pensi molto bene».