Nonostante la quasi cancellazione dell’articolo 18 voluta da Renzi la legge 300 tutela ancora i lavoratori e dà loro diritti fondamentali.

Quello che è passato alla storia come «Statuto dei Lavoratori» in realtà è la legge 300 del 1970 che reca come nome “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”.

Si tratta di una legge fondamentale del diritto del lavoro italiano che ancora oggi costituisce la disciplina di riferimento per i rapporti tra lavoratore e impresa e i diritti sindacali.

Approvato a seguito delle lotte sindacali della fine degli anni sessanta, in particolare la lunga vertenza per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici e il loro «autunno caldo» del 1969, in realtà è stato preceduto dall’introduzione nell’ordinamento di alcune significative norme di tutela e garanzia per i lavoratori, quali la Legge 1124 del1965 in materia di infortuni e malattie professionali, la Legge 903 del 1965 in materia pensionistica e la Legge 604 del 1966 in materia di licenziamenti, tutte ascrivibili ai governi di centrosinistra.

Lo Statuto rappresentò una svolta dal punto di vista sia politico che giuridico, nel sancire positivamente alcuni dei diritti fondamentali del lavoratore e delle sue rappresentanze sindacali.

Per oltre quaranta anni l’impianto statutario ha retto alle profonde trasformazioni della società e dell’impresa e continua a costituire uno strumento di tutela giuridica imprescindibile nell’ambito del diritto del lavoro.

Il titolo Primo dello Statuto (gli articoli dall’1 al 13) disciplina diritti e divieti volti a garantire la libertà e dignità del lavoratore; in particolare in materia di libertà di opinione del lavoratore (articolo 1), regolamentazione del potere di controllo (articoli dal 2 al 6) e disciplinare (articolo 7), di mansioni e trasferimenti (articolo 13).

Il titolo Secondo (articoli dal 14 al 18), dedicato alla libertà sindacale, nell’affermare e disciplinare il principio cardine del diritto di costituire associazioni sindacali nei luoghi di lavoro e di aderirvi (articolo 14), sancisce la nullità degli atti discriminatori (articolo 15), pone il divieto di costituire o sostenere sindacati di comodo (articolo 17) e, allo scopo di rendere effettivi tali diritti, introduce la garanzia della stabilità del posto di lavoro, disponendo le tutele accordate al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo (articolo 18), modificato più volte e in pratica cancellato dal Jobs act di Renzi.

Nel titolo Terzo si tracciano le prerogative dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, attraverso il riconoscimento al sindacato del potere di operare nella sfera giuridica dell’imprenditore, per il conseguimento dei propri obiettivi di rappresentanza e di tutela. Valgono a tale scopo il fondamentale diritto alla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali (articolo 19), nonché le ulteriori prescrizioni finalizzate a consentire l’esercizio dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro, nelle sue varie forme di manifestazione (assemblea, affissione, permessi, locali e garanzie della funzione sindacale – articoli dal 20 al 27).

Tra le disposizioni del titolo Quarto, oltre a quelle in materia di permessi e aspettative per i dirigenti sindacali (articoli dal 30 al 32), assume una posizione cruciale l’articolo 28, che predispone un particolare strumento giudiziario volto a reprimere condotte antisindacali, in quanto impeditive o limitative dell’esercizio dell’attività sindacale o del diritto di sciopero. Si tratta di una norma di centrale importanza nel disegno complessivo dello Statuto, in quanto legittima il sindacato ad agire direttamente nei confronti dell’imprenditore e a ottenere una pronuncia giudiziale di condanna, con ciò sancendo nella sostanza l’effettività dei diritti sindacali enunciati.