Mentre il governo di Netanyahu e i suoi ministri continuano a fabbricare montagne di parole a vuoto, si susseguono le pressioni per farli tornare alla realtà: sempre più alte si alzano le voci che chiedono di porre fine alla politica bellicosa e colonialista di Netanyahu e alla sua coalizione fondamentalista e ultranazionalista. Proprio l’Italia dovrebbe tornare ai giorni in cui la Democrazia cristiana la pose alla testa della politica europea: quando, nel 1980, la dichiarazione di Venezia indicò all’Europa che anche i palestinesi avevano il diritto all’autodeterminazione.

Ora gli italiani ricevono il ministro degli esteri israeliano Lieberman, che cercherà di vendere mercanzia di seconda mano. L’illustre ospite racconterà la famosa iniziativa israeliana, i cui dettagli rimangono oscuri: una presunta trattativa con «i paesi arabi». Spiegherà che Israele è l’unica democrazia della regione e non ricorderà che durante l’ultima guerra ha invitato a non comprare prodotti dai negozi di cittadini arabi israeliani; un elemento tanto democratico da ricordare quanto accadeva in Europa negli anni 30. Non solo Londra e Stoccolma segnalano a Israele che deve cambiare rapidamente la rotta: al Cairo si sono riuniti trenta paesi per discutere della ricostruzione di Gaza. Ha aperto i lavori il presidente egiziano al Sisi, in teoria un alleato di Netanyahu.

E proprio al Sisi ha mandato in frantumi la fantasia di Netanyahu e Lieberman circa un presunto negoziato con il mondo arabo, dicendo chiaramente: se gli israeliani vogliono negoziare la pace con il mondo arabo, che vadano a Ramallah e la negozino prima con i palestinesi! Senza la pace con i palestinesi, non c’è nessuna trattativa con il mondo arabo. E a Gerusalemme il segretario generale dell’Onu ha chiesto a Netanyahu di porre fine alla costruzione delle colonie chiedendo un cambio di linea e condannando la distruzione perpetrata a Gaza.

Quando il primo ministro svedese ha dichiarato il riconoscimento del diritto dei palestinesi ad avere un proprio Stato, Liebermen ha chiamato l’ambasciatore svedese per redarguirlo.

E quando nella notte di lunedì il parlamento britannico ha votato a favore del riconoscimento di una Stato palestinese, il ministro degli esteri israeliano ha preferito viaggiare in Italia; chissà che la buona cucina italiana non ne calmi l’indignazione. Centinaia di israeliani, parte dell’elite politica e culturale, con un’iniziativa cui si è posto a capo Alon Liel, un ex direttore generale del ministro degli esteri (!), hanno chiesto ai parlamentari britannici di appoggiare il voto di ieri.

Liel ha specificato alla radio israeliana che centinaia di persone hanno appoggiato con lettere e verbalmente l’iniziativa. Tutto questo è rilevante, ma va considerato come parte del problema: il governo israeliano non vuole la pace, la recente guerra è stata appoggiata «patriotticamente» anche dalle opposizioni, le voci pacifiste sono deboli e praticamente inesistenti in una società dominata dalla paura e dal razzismo. E già a destra accusano furiosamente di tradimento gli israeliani che hanno scritto al parlamento britannico.

In un quadro che induce al pessimismo di fronte alla grande debolezza delle forze progressiste in Israele, solo all’esterno è possibile vedere una possibile luce.
Mentre Netanyahu e Lieberman continuano a raccontare al mondo che Hamas è come l’Isis, che entrambi sono come l’Iran, che tutti sono come Hitler e che Netanyhau e l’esercito ci salveranno, forse solo la voce critica che si sta diffondendo in Europa potrà essere l’unica possibilità di arrivare a uno Stato palestinese; l’unica possibilità di salvare gli israeliani da loro stessi.

È ora che anche l’Italia assuma un ruolo positivo in Europa, facendo sentire con chiarezza la propria voce a favore dei diritti dei palestinesi, senza cascare nei trucchi demagogici e falsi dei governanti israeliani.