Il puzzle è finito e tutte le «tessere» che lo compongono, come il pubblico ministero Vittorio Teresi definisce i tanti passaggi dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia, sono al loro posto. Per questo dopo otto giorni di requisitoria, ma soprattutto dopo quattro anni e otto mesi di dibattimento e 210 udienze, per la procura di Palermo è arrivato il momento di tirare le somme del processo che vede imputati pezzi importanti delle istituzioni e di Cosa nostra.

Pesanti le richieste dei magistrati siciliani: 12 anni per l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri (già in carcere per una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa), 15 anni per l’ex comandante dei Ros Mario Mori, 12 per il generale Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno e 6 anni, infine, per l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza. E poi i mafiosi: 16 anni per il boss Leoluca Bagarella e 12 per Nino Cinà. Cinque anni, invece, è la richiesta per Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, che deve rispondere di calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. «Sono colpevoli e vanno condannati», spiega Teresi al termine della sua requisitoria. Colpevoli, secondo l’accusa, di aver avviato tra il 1992 e il 1994 una trattativa con la mafia, un «patto con il diavolo» servito a mettere fine alle stragi che in quegli anni insanguinavano l’Italia. Tra i primi a commentare le conclusioni della procura ci sono i difensori di Dell’Utri, gli avvocati Giuseppe Di peri e Francesco Centonze, che parlano di richiesta «abnorme» risultato di «una requisitoria fondata su costruzioni accusatorie fantasiose e assolutamente sganciate dalla realtà».

La realtà ricostruita dai pubblici ministeri siciliani – con Teresi i colleghi Nino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia – è quella che ricostruisce quanto accaduto dagli attentati di capaci e via D’Amelio del 92 fino alle bombe del ’93 in continente e al fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma del 1994. E’ dopo questi fatti sanguinosi che, per la procura, esponenti dello Stato si sarebbero mossi contattando la mafia. «La strategia stragista di Cosa nostra che ricattò lo Stato con la complicità di uomini dello Stato», per il pm Di Matteo.
Ad avviare il dialogo sarebbero stati gli uomini dei Ros che, per i pm, «avviarono una prima trattativa con l’l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, che avrebbe consegnato un ’papello’ con le richieste di Totò Riina per fermare le stragi».

A fare da tramite con la mafia, secondo la procura, sarebbe stato l’ex senatore di Forza Italia, ritenuto referente politico dei boss dopo l’arresto del vecchio interlocutore dei carabinieri, l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino. «Risulta provato – ha spiegato il pm Del Bene – che gli incontri tra esponenti mafiosi e Marcello Dell’Utri siano stati plurimi e ripetuti nel tempo, da collocare sia prima delle elezioni del ’94 che dopo le politiche».
«Dell’Utri ha fatto da motore, da cinghia di trasmissione del messaggio mafioso», è l’accusa dei pubblici ministeri. «Il messaggio intimidatorio fu trasmesso da Dell’Utri e recapitato a Berlusconi». E ancora:«Nel 1994, Dell’Utri riuscì poi a convincere Berlusconi ad assumere iniziative legislative che se approvate avrebbero potuto favorire l’organizzazione».

Pesantissima infine – 6 anni – anche la richiesta di condanna fatta per Nicola Mancino. L’ex ministro dell’Interno scelto, secondo l’impianto accusatorio, perché considerato più morbido rispetto al suo predecessore Enzo Scotti sulla linea da tenere contro le cosche, è accusato di aver mentito ai giudici. Deponendo in un altro processo a Mori disse di non aver mai saputo nulla sui contatti tra i carabinieri e Ciancimino smentendo la testimonianza dell’ex Guardasigilli Claudio Martelli.

La sentenza è attesa per il mese di aprile.