Per 48 ore, ieri e lunedì, migliaia di militanti del Codeca (Comitato di sviluppo contadino) e dei popoli originari, incuranti sia della pioggia che della repressione, hanno bloccato diversi punti strategici del Guatemala per protesta contro le innumerevoli violazioni dei diritti umani da parte del governo di Alejandro Giammattei. Un nuovo paro plurinacional dopo quello che già lo scorso agosto aveva fermato il paese per denunciare la corruzione dilagante, ma anche per chiedere la rinuncia del presidente e la convocazione di un’Assemblea costituente, popolare e plurinazionale.

A tali rivendicazioni, più che mai presenti, se ne è aggiunta ora una nuova: quella a favore delle comunità maya q’eqchi’ del municipio di El Estor, nel dipartimento di Izabal, messo in stato di assedio il 24 ottobre per proteggere la Compagnia guatemalteca del nichel, filiale della società svizzera Solway, dalle proteste contro la devastazione del territorio.
A poco serve che le comunità, giunte a bloccare all’inizio di ottobre l’ingresso dei camion destinati a rifornire di carbone la compagnia e a ritirare i minerali estratti (nichel e terre rare), abbiano dalla loro parte la Corte costituzionale, che, in una sentenza del 2019, ha ordinato la sospensione delle operazioni minerarie fino a quando non venga portato a termine il processo di consulta previsto dalla Convenzione 169 dell’Ilo (peraltro ratificata dal Guatemala).

LA DECISIONE giudiziale di uno stato – almeno in linea teorica – sovrano non ha infatti minimamente impressionato l’impresa mineraria: «La questione di fermare le nostre operazioni semplicemente non è in agenda, perché non ci sono ragioni per farlo», ha dichiarato il direttore Dimitry Kudryakov.
E in sua difesa è intervenuto prontamente il governo Giammattei, il quale ha inviato polizia e militari, limitato le libertà civili, imbavagliato i mezzi di comunicazione popolari, perquisito case, arrestato i leader della protesta e risposto alla Procura per i diritti umani, che aveva richiamato il presidente al rispetto della sentenza della Corte costituzionale: il processo di consulta sul complesso minerario di El Estor, ha assicurato il governo, si sta già svolgendo dallo scorso 28 settembre.

CHE SI TRATTI DI UNA FARSA, però, lo ha chiarito bene Eddy Aspuac, consigliere giuridico del Bufete para Pueblos Indígenas, una delle organizzazioni che hanno chiesto l’intervento della Commissione interamericana per i diritti umani: «Come è possibile che lo stato pretenda di portare avanti un dialogo imponendo uno stato d’assedio?».
Senza contare l’esclusione dal processo di consulta di un importante numero di comunità contrarie al progetto, a favore della minoranza che vede nell’attività mineraria una fonte di occupazione. Benché, a perdere il lavoro, siano intanto i pescatori della zona, secondo i quali le acque del lago Izabal, il più grande del Guatemala, sono state contaminate dall’attività estrattiva.

I TIMORI dei popoli indigeni, tuttavia, vanno anche oltre il caso di El Estor. «Invece di fare passi avanti stiamo tornando indietro nel tempo», ha denunciato la dirigente maya-quiché Nazaria Tum Sanic. «È sempre una guerra», spiega, solo che è cambiato il modo di combatterla: «Il governo sta firmando contratti con multinazionali che occupano territori ed espellono contadini. Le centrali idroelettriche e le miniere distruggono le risorse naturali e portano malattie».