«Promesse tradite» (Cgil). «Segnali troppo deboli» (Cisl), «tagli al cuneo fiscale irrisori» (Uil). All’indomani della presentazione della prima legge di stabilità da parte delle «larghe intese» sembra essere terminata la luna di miele tra sindacati confederali e governo in nome della «governabilità». Si torna a parlare di mobilitazioni, forse arrivando anche ad uno sciopero. Su questa parola ci sono distinguo e precisazioni: «non si decide prima la modalità di un’azione e poi il perché». Toccherà dunque aspettare lunedì, giorno utile nelle agende dei segretari generali, prima che i sindacati accordino il «perché» alla «modalità» di un’azione di protesta contro il governo. Lo sciopero lo faranno domani i sindacati di base (Usb, Cobas e Cub), insieme ai movimenti per la casa e ai rifugiati che stanno scaldando i motori da tempo contro l’austerità.

Ma restiamo a ciò che interessa ai confederali e alla loro partita con le larghe intese. La Uil, tanto per dire, si dice pronta ad «azioni forti». Una forma di opposizione sembra balenare anche nelle parole di Susanna Camusso secondo la quale la legge di stabilità sarebbe «un’aggressione al lavoro pubblico e una pericolosa messa in discussione del decreto sui precari della pubblica amministrazione». Per questo «va cambiata», anche perché non mantiene le promesse «sulla redistribuzione del reddito e il rilancio dei consumi».

Non occorreva una particolare forma di chiaroveggenza per intuire che gli statali, i pensionati – per non parlare degli «invisibili» lavoratori autonomi o precari, di cui nessuno parla – sarebbero stati nuovamente «tosati» sull’altare della stabilità dei conti e del governo. Eppure i sindacati solo un mese fa, alla festa del Pd a Genova, aveva siglato un patto dei produttori con Confindustria a sostegno della «stabilità» del governo, in vista del taglio del cuneo fiscale che non c’è stata. Il famoso taglio avrebbe dovuto essere di 10,6 miliardi di euro in un anno, non spalmato su tre, com’è invece previsto dalla finanziaria: 5,6 per le imprese, 5 per i lavoratori, pari a 10 euro al mese. Su questo punto ci sarebbe anche un accordo con il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Quest’ultimo ha avvertito: «Uno sciopero dei sindacati non risolverà i problemi». Punto e a capo: si dovrebbe tornare a trattare ad un tavolo qualche spicciolo in busta paga senza ulteriori forme di pressione. Ad avviso di Letta, qualche passo in avanti sul taglio alle tasse per famiglie e imprese è stato fatto. La pressione calerà di un punto percentuale, dal 44% al 43,3% in tre anni. Non proprio qualcosa di memorabile, in effetti. «Non si sta attraversando una fase di vacche grasse, abbiamo fatto il massimo» ha commentato il ministro dello Sviluppo Economico, Flavio Zanonato.

Toccando gli interessi malmessi del «lavoro pubblico e del lavoro dipendente, il governo sta minacciando il patto di desistenza con i sindacati. Il vice premieri Alfano ha promesso modifiche nella discussione in aula, ma per il momento la legge di stabilità recapitata sul tavolo dell’Unione Europea prevede il prolungamento del blocco della contrattazione a tutto il 2014 e comprenderà anche società in house e enti. Indigeribile per i confederali è stata la cancellazione della vacanza contrattuale per il 2013-2014 che andrà perduta per sempre. Il blocco del turn-over continuerà ad escludere polizia, forze armate e vigili del fuoco, ma sarà applicato a scuola, università, ricerca ed enti pubblici fino al 2018. Fino ad oggi questa spending review ha permesso allo Stato di risparmiare 11,5 miliardi di euro. L’ha iniziata nel 2010 Tremonti. Lo stesso ha fatto Monti e così oggi Letta e Saccomanni. Questa decisione produrrà conseguenze anche sui precari nella pubblica amministrazione. Lo slittamento di due anni del blocco del turn-over influenzerà il Decreto D’Alia, quello che nella propaganda delle larghe intese dovrebbe permettere di «assumere» 120 mila precari.

Il decreto dovrà essere approvato entro il 30 ottobre e impone la partecipazione ai concorsi ai precari con un’anzianità di tre anni a tempo determinato. Per i sindacati questo significa escludere almeno 50 mila persone nella P.A. e la stragrande parte dei precari entrati in servizio meno di tre anni fa. La confusione è così grande da avere riattivato D’Alia. Dice di volere incontrare i sindacati nei prossimi giorni. Quanto alle tasse sulla casa, sembrano confermate le apprensioni degli inquilini. Secondo Federconsumatori la simil-Imu rinominata «Trise» costerà 345 euro annui a famiglia. Se prima erano in molte a non pagare l’Imu grazie alle detrazioni sulla prima casa, da gennaio tutte pagheranno la Trise. Anche gli inquilini dovranno pagare pegno ai berlusconiani versando la Tari e una quota della Tasi.