Ci sono Han Solo e la principessa Leia, Chewbacca e una bella scena in una taverna popolata di banditi intergalattici, un duello tra padre e figlio a colpi di spade luminose, paesaggi fatti apposta per innescare viaggi proustiani della memoria, l’amore incondizionato per la serie B, e persino quel vago odore di muffa d’avanguardia che pervadeva il visionario anacronismo del primo Star Wars, nel 1977.

E’ dolce/amaro il ritorno di Guerre Stellari, settimo capitolo in ordine cronologico, e il primo della terza trilogia. Studente giudizioso più che dotato di una sua visione, abilissimo a trasformare in algoritmi le passioni e le debolezze dei fan, J.J. Abrams si conferma per gli studios un buon investimento per il riciclaggio delle franchise “sacre”.

Tagliando i ponti con la tormentata, progressivamente più cupa, politica, e digitalizzata seconda trilogia, e con il doloroso spirito autoriale che l’attraversava, Abrams ricuce accuratamente, nei dettagli, il suo The Force Awakens ai primi tre film.

L’effetto (applausi a scena aperta nell’unica proiezione stampa di New  York) è retro, quasi vintage. La forza, però ne esce un po’ come da un forno a microonde.