Stanislav Lem, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, è un esempio perfetto di quanto si è detto più e più volte, ossia che la suddivisione per generi delle opere letterarie ha sempre più spesso il valore di un aiuto alle biblioteche per infilare i libri negli scaffali giusti e ai docenti per far mandare a memoria qualcosa agli studenti impigriti. Una volta di più, la grandezza di Lem fa sì che il «genere fantascienza» mostri la corda di una schematizzazione inadeguata: se infatti i racconti, ora raccolti da Mondadori in un unico, poderoso volume, Universi (Introduzione di Lorenzo Pompeo, Mondadori Baobab, pp. 1602, euro 35,00) rinviano spessissimo a una alterità, un altrove che è dislocato in luoghi e spazi di cui non possiamo che «sognare», è vero che essi sono lontani dal visibile e dal reale quanto è evidente che laddove ci si lasci non tanto catturare quanto avvolgere e guidare, quell’elemento «invisibile» che sempre sostanzia la letteratura, chiederà al lettore di aprire gli occhi e «vedere».

La narrativa di Lem appare dunque come un’intelligente «guida» all’invisibile, sia esso trasposto nel tempo, nello spazio, o in entrambi: il transito compiuto dallo scrittore polacco nei suoi romanzi non si limita infatti (come nella classica fantascienza che pure ovviamente esiste senza depositi di grandi opere letterarie) a proiettarci in un fantastico senza confini percepibili, che ci assorbe ammutolendoci; piuttosto, attirando nelle nostre vicinanze l’invisibile, che circonda e pervade il reale, dà vita a quell’effetto di «esitazione» che Todorov aveva teorizzato, e che è più in generale proprio della letteratura e forse di tutta l’arte.

Così partì la sua carriera
Nella sua interessante Introduzione, Lorenzo Pompeo (che è anche il traduttore di due delle opere di Lem presenti nel volume; a ruota dell’Introduzione segue un elenco delle opere già presenti in traduzione italiana, così da orientare ulteriormente il lettore) fornisce una serie utilissima di informazioni che permettono maggiore consapevolezza nell’addentrarsi in una mole di pagine così ingente. Anzitutto, gli anni vanno dal 1956 al 1995, dunque «un arco di tempo che abbraccia l’intera parabola della vita intellettuale e della creazione letteraria dell’autore di Solaris». In realtà, Lem aveva debuttato nel 1946, ma senza alcun successo, pubblicando un racconto a puntate su una rivista polacca. Impossibilitato a iscriversi al Politecnico dell’allora Ucraina sovietica, Lem ripiegò sulla Facoltà di Medicina di Leopoli, ma fu ben presto costretto a interrompere gli studi a causa dell’invasione nazista.

La famiglia Lem, ebrea, riuscì a sopravvivere soltanto grazie a documenti falsi e a una serie di peripezie che la condusse a Cracovia nel 1945. Qui Lem presentò alla Facoltà una sua memoria sulla cibernetica, e fu così che si avviò sia la sua carriera di scrittore sia quella di scienziato. Con cibernetica, infatti, dobbiamo intendere non soltanto il «controllo automatico dei macchinari mediante il computer ma anche» lo «studio del cervello umano, del sistema nervoso e del rapporto tra i sistemi artificiale e biologico»; iniziati e approfonditi da Lem nell’epoca dell’affermazione del cosiddetto «realismo socialista» nei territori di diretta influenza sovietica, questi studi di cibernetica lo mantennero in una condizione di sospensione e di incertezza finché il caso (che nelle pagine di Lem ha un’importanza notevole) volle che nel 1951 egli conoscesse un editore polacco interessato al «fantastico»: si intitola «Il pianeta morto» il racconto che Lem gli affidò, e che lo rese da allora in poi celebre (ce ne fu anche una trasposizione filmica, ma Lem non la approvò; altrettanto interessanti sono i dubbi che espresse sempre sulla trasposizione del suo Solaris a opera di Tarkowskij).

Ora, questa antologia Universi, che ha tra l’altro come punto di riferimento una raccolta concepita dallo stesso Lem nel 1996, ci consente di renderci conto una volta di più del nesso tra la prospettiva biologica e quella psichica in una sorta di particolare tramite che passa dalla cibernetica: da un lato le corrispondenze tra vita elementare e vita mentale, dove la consapevolezza di ciò che si sente è perennemente in bilico tra l’emergere e il ritrarsi; dall’altro la continua ricerca (consapevole o meno, non è dato sapere) dei principi su cui la cibernetica poggia, e che tentano di affermarsi nei modi più svariati, allargando gli orizzonti che ne scaturiscono, talvolta umani e talaltra alieni, ma sempre in qualche modo «plausibili».

La sua dialettica
La distinzione (invero abbastanza triviale) tra realtà e fantasia risulta allora essere se non il, almeno un bersaglio costante della scrittura di Lem, che si svincola così dal genere fantascientifico, a quella distinzione invece tanto spesso ancorato. Lem non esita a farsi carico di quella verità al di qua della distinzione tra realtà e fantasia, non perché misteriosa bensì perché più semplice. E la esplicita tra l’altro nella «recensione» datata 1980 a un libro inesistente, presentata nell’ultima parte di questo volume e intitolata (ancora una volta, non a caso) in tedesco: Der Völkermord I. Die Endlösung als Erlösung II. Fremdkörper Tod (Genocidio I. La soluzione finale come salvezza II. Morte corpo estraneo) dove inserisce una sua personale dialettica con Heidegger, Thomas Mann e Hannah Arendt, degna di affiancare decine e decine di monografie di specialisti: più accreditati certo, ma fatalmente meno ispirati.