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Stamperia del Laboratorio, Napoli

Stamperia del Laboratorio, Napoli

Il luogo Una bottega arcana dove si possono percepire i mormorii segreti e antichi della città

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 14 ottobre 2023

Nel centro storico di Napoli uno dei luoghi più denso di misture e misteri è la piccola piazza con la statua del Nilo, scolpita dagli egiziani e detta Corpo di Napoli. Siamo in un sistema storico, culturale e urbanistico totalmente esoterico. Qui, in un «basso», c’è la bottega de IL LABORATORIO/le edizioni, casa di libri d’arte fondata quarant’anni fa dagli incisori nolani Vittorio Avella ed Antonio Sgambati. Chi vi entra si trova in una wunderkammer, «camera delle meraviglie», di quelle in voga dal XVI secolo in poi, che raccoglievano curiosità e singolarità da ogni parte del mondo. In questo wunderbuglio (meraviglioso guazzabuglio) l’immaginazione subisce contagi emotivi e, quasi in trance, si incontrano gli uomini-libro di Farhenheit, Aby Warburg, Gustav Jung, Rilke, Benedetto Croce, un po’ tutti quelli che hanno avuto a che fare con Partenope. Molti artisti e poeti vengono alla stamperia per il rito del «caffè della bottega», una miscela segreta, da sorbire guardando all’opera la torcoliera, Cinzia. Il sabato c’è l’ora d’aria per Giordano Bruno e Tommaso Campanella che, dopo aver visto a che punto stanno le stampe di alcuni loro lavori, si dirigono, pensosi (mumble-mumble) alla Via del Sole.
Chi apre i cassetti della stamperia comincia con un «oh!» e, sfogliando con lentezza i manufatti, ricorda i versi di Itaca, dove Kavafis esorta il viandante a sostare a lungo negli empori fenici, a meditare su «madreperle, corallo, ebano, ambre,/tutta merce sottile, lavorata dall’uomo». In quest’ambiente domina la Cura heideggeriana e l’essere si identifica col fare.

Un giorno – c’ero anch’io – Giambattista Vico, che abitava a due passi, elaborò la copertina della Scienza Nova da portare in anteprima al principe di Sangro, alchimista e mago. Un’altra volta fui lasciato da solo a presidiare lastre in morsura e – giuro – sentii uno spiffero e vidi entrare Scaramuré e Nicola Antonio Stigliola; mi salutarono e continuarono a parlare tra loro di formule, quadrati magici, solidi kepleriani; Scaramuré, parlando, come ne Il Candelaio, «per grammuffo o catacumbaro o delegante e latrinesco», tirò fuori dalla tasca una copia del De Idearum Umbris e Nicolantonio vi appuntò qualcosa (una spirale, mi pare, o un mandala o un cerchio lulliano); controllarono le lastre, lasciarono impronte d’inchiostri dappertutto, mi salutarono di nuovo («Buonasera», e io, come un babà in vetrina da Scaturchio, «Buonasera»). Andati via, sotto la luce avversa di una lampada a olio, fissavo una rielaborazione delle Meninas pensando allo studio di Foucault su questo lavoro ed ecco: Pertusato e il cane uscirono dal quadro, le Menine li seguirono come ballerine di un carillon lasciando per terra impronte di piedi bagnati. Il fatto che i loro corpi non producessero ombra non mi meravigliò più di tanto. Il cane, comunque, non è più tornato al solito posto e, talvolta, esce dal quadro e si accuccia ai miei piedi.

La bottega è la miniera fonetica di una «metropoli dialettale» come Napoli (Nicola De Blasi). Sotto la statua del Nilo, a circa 40 metri, continua a scorrere un altro fiume, il Sebeto, confuso col murmuglìo del sottoproletariato, come una coscienza civile dimenticata, quasi un vecchio che parla nel sonno e che innalza improvvisamente un Kirye Elèison (Signore, sollevaci) e, subito dopo, giù!: una bestemmia nera. Tra le immagini che salgono a galla nel Sebeto, Federico II è l’Arcano e, se stai un po’ attento, puoi ascoltare borbottii di osco, sannita, greco, latino, arabo, ebraico, catalano, francese, castigliano, austriaco, inglese e ’mericano. …I colori del sudore del popolo dei «bassi» sono quelli delle acquetinte di Avella, fatte coi polpastrelli, talvolta ispirate alle icone delle edicole votive con i colori bianco-azzurro-rosso dei fujenti.

Questo popolo, «repentino» e broncho, che facilmente imbizzarrisce, sa che in quel basso avvengono cose macumbere, che non è casuale che Avella e il Nilo abbiano lo stesso volto ed è per questo che ha eletto l’incisore come proprio numen.

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