Ha settantatré anni l’attore americano e non si arrende al mito Rambo. Lo interpreta ancora – per la quinta volta – nel nuovo capitolo della saga del veterano del Vietnam: Rambo: Last Blood che lo vedrà accanto a Paz Vega e che debutterà il 20 settembre sugli schermi americani. In sala Debussy ha incontrato oltre 1000 giornalisti per la sua personale «lezione di cinema», in occasione della proiezione del primo Rambo, quello del 1982, in edizione restaurata, serata durante la quale sono stati proposti anche alcuni fotogrammi in anteprima di Last Blood.

«NEVER STOP punching», mai smettere di dare i pugni, mai smettere di lottare», dice Sylvester Stallone in simbiosi con i personaggi iconici, Rocky e Rambo, che ha interpretato nell’arco di quattro decenni. Un incontro di cento minuti in cui ha ripercorso la sua carriera: «Girare un nuovo Rocky? Con braccia o senza braccia», ha ironizzato la star newyorchese sul fatto di essere ancora in grado di rivestire i panni di quell’«eroe» del grande schermo capace, nel 1976, di vincere ben tre premi oscar: «Nell’anno – ha ricordato Stallone – di Taxi Driver e di Tutti gli uomini del presidente». «In realtà – racconta – il film poteva tranquillamente essere un fallimento: ero un attore sconosciuto e poi parlava di boxe, un genere che non determina automaticamente grandi incassi. È stato girato velocemente, in poco meno di un mese con grande disponibilità di tutti quanti sul set che avevano lavorato quasi gratis. La ragione del successo? Forse perché aldilà della boxe, era una metafora che poteva essere letta da chiunque come una spinta a non rinunciare mai e a lottare contro la paura, il fallimento».
Rambo alter ego di Rocky?: «Già, Rambo è la parte pessimista, dove invece Rocky è ottimista. Nel libro il personaggio di Rambo è una sorta di Frankenstein, si uccide alla fine perché non sopporta di essere diventato una macchina di violenza. Io invece l’ho voluto leggere da un’altra angolatura: un figlio rigettato dalla stessa madre, l’America».