Ancora un tavolo, ancora un rinvio. La maggioranza non riesce a fare passi in avanti sul tema delle riforme istituzionali, che pure era stato scelto nel vertice della «verifica» a palazzo Chigi con i segretari – ormai 12 giorni fa – come il terreno giusto per rilanciare l’azione dei giallo-rossi. Ma non funziona. Ieri i capigruppo dei quattro partiti di maggioranza si sono riuniti con il ministro dei rapporti con il parlamento Federico D’Incà. Riunione lunga per girare attorno alle difficoltà, stabilire due percorsi paralleli – uno sulle riforme, un altro sull’attuazione del programma – è una data di massima per le conclusioni (3 dicembre). L’ostacolo posto da Italia viva, però, non può essere aggirato. Il partito di Renzi vuole un accordo generale che comprenda riforma del bicameralismo e sfiducia costruttiva prima di andare avanti sui punti, più limitati, che pure avevano formato oggetto di accordo di maggioranza un anno e un mese fa, appena lanciato il Conte due e consumata la scissione renziana.

E così è tutto fermo, con buona pace di quanti, dentro e fuori la maggioranza, avevano pronosticato che la vittoria del sì al taglio dei parlamentari avrebbe rilanciato alla grande le riforme. A cominciare dalla nuova legge elettorale, che è il passaggio più delicato e più importante, anche per non consegnare a Salvini e Meloni un sistema perfetto per le loro ambizioni: il vecchio e sostanzialmente maggioritario Rosatellum applicato al nuovo e ridotto numero di parlamentari. La nuova legge – proporzionale con sbarramento nazionale al 5% – è bloccata in commissione alla camera senza che si veda all’orizzonte un accordo sulla revisione della soglia di sbarramento e sulle preferenze. Intanto, malgrado il presidente della Repubblica abbia concesso tempo supplementare rinviando fino all’ultimo la promulgazione del taglio dei parlamentari, entro natale il governo dovrà mettere proprio il Rosatellum in condizione di funzionare, con la revisione dei collegi. Della nuova legge elettorale si parlerà solo nel 2021.

Ieri il ministro dei rapporti con il parlamento ha provato a saltare l’ostacolo, concedendo un allargamento del menu da servire al tavolo delle riforme. Spazio dunque alla riforma del bicameralismo e alla sfiducia costruttiva come chiedono i renziani – il Pd in teoria non è contrario ma teme la manovra dilatoria. Ma dentro anche argomenti cari ai 5 Stelle, come l’inserimento della tutela dell’ambiente nella Costituzione (lo vogliono Conte e il ministro Costa, malgrado per la giurisprudenza della Corte costituzionale quella tutela ci sia già). E persino il dimenticato referendum propositivo, blockbuster del 2018 finito sepolto dalle critiche. Nell’elenco del ministro ha trovato spazio anche la riforma (della riforma) del Titolo V, argomento che da solo potrebbe impegnare una legislatura intera e non i due anni che mancano a questa. Due anni che cominciano a sembrare pochi persino per quel programma minimale firmato il 7 ottobre 2019 dai capigruppo di maggioranza – anche quelli di Italia viva – come «riequilibrio» necessario al taglio dei parlamentari.

Sottovalutato è per esempio il tema della riforma dei regolamenti parlamentari, che pure è indispensabile per consentire alle prossime camere a dimensioni ridotte di poter funzionare. Fin qui si è mossa la sola giunta per il regolamento della camera e si è semplicemente data un metodo di lavoro: si tratta di modifiche che andranno approvate a maggioranza assoluta e con il voto segreto.

Ampliare il menu è servito a poco, la maggioranza non si è mossa da dove l’hanno impantanata i renziani. Dopo uno scontro – durante il quale è stata soprattutto Leu a richiamare il rispetto dell’accordo del 2019 – i capigruppo hanno deciso di rinviare il tavolo a venerdì. Quando si dovrebbe ripartire dal disegno di legge costituzionale che cambia la base elettorale del senato e riduce i delegati regionali per l’elezione del presidente della Repubblica e da quello per l’allargamento ai 18enni del voto per i senatori. Il primo è fermo in commissione per l’ostruzionismo della Lega e lo scarsissimo entusiasmo di Iv. Il secondo era arrivato al voto finale in aula alla camera, quando il presidente Fico è stato costretto a rinviarlo per evitare che la maggioranza senza i renziani andasse sotto. Rinvio consentito eccezionalmente dal regolamento «a breve termine». Sono passati 35 giorni.