La trattativa nella maggioranza sulla nuova legge elettorale si complica. Il risultato del vertice di ieri sera tra M5S, Pd, Leu e Italia viva somiglia a un rompicapo. Non c’è alcuna soluzione che metta d’accordo tutti. Potrebbe essere la rottura che in ogni trattativa serve ad alzare la posta e preparare l’intesa. Ma più probabilmente produrrà uno stallo: in queste condizioni la maggioranza non riuscirà a onorare l’impegno di presentare un testo di legge condiviso entro Natale. Tant’è che l’unica decisione di ieri serve a prendere tempo. La maggioranza la prossima settimana incontrerà le opposizioni per vedere se la destra, scegliendo una delle due alternative rimaste in campo, entrambi sistemi proporzionali, una a ripartizione nazionale dei seggi e una a base circoscrizionale, vorrà togliere le castagne dal fuoco ai giallo-rossi. Cosa che prevedibilmente non accadrà.

La novità che ha fatto fare alla riunione di ieri un passo indietro rispetto a quella della settimana scorsa è che Renzi si è rimangiato il via libera che i suoi rappresentanti avevano dato in un primo momento a una legge elettorale proporzionale basata sulle circoscrizioni a soglia di sbarramento implicita, sul modello di quella spagnola e portoghese.

A muovere l’ex presidente del Consiglio è soprattutto la tattica: non vuole schierare Italia viva in un accordo di maggioranza. Renzi ha bisogno di vestire i panni del guastatore e fino all’ultimo cercherà di non lasciare solo Salvini nella comoda posizione di chi si dichiara, a parole, contro il ritorno al proporzionale. O per il proporzionale con una soglia di sbarramento proibitiva.

È per questo che ieri Maria Elena Boschi ha detto sì a un modello a ripartizione nazionale dei seggi con soglia al 5%, soluzione che va bene a Pd e M5S. Ma non a Leu, che invece è rimasta favorevole al sistema simil spagnolo. «Bisogna trovare un corretto equilibrio tra le esigenze di rappresentanza di tutte le forze e quelle di sovrarappresentare i partiti maggiori, il modello con soglia di sbarramento naturale con 36 circoscrizioni può essere una soluzione. La soglia nazionale al 5% è irrealistica per il nostro paese».

A Renzi invece sembra andar bene. Malgrado rischi di essere fuori dalla portata del suo partito, che con il modello spagnolo avrebbe invece una ventina, almeno, di seggi sicuri. Il leader di Iv non si accontenta di seggi sicuri nelle grandi città, vuole costruire un partito nazionale, attrarre ceto politico su tutto il territorio ed è convinto che il Pd sarà alla fine costretto a scendere dal 5% al 4% e magari al 3%. Che è poi la soglia attuale. Probabilmente Renzi immagina che lo stallo porterà a un intervento in extremis sul Rosatellum che elimini semplicemente i collegi uninominali. Il Pd e 5 Stelle giurano che non ci arriveranno mai, «sotto la soglia del 5% non scendiamo» dicono tutti i delegati dem nella trattativa. Anche perché oggi la direzione del partito partirà dalla premessa che meglio sarebbe stato il modello maggioritario.

A tutti è chiaro che un eventuale accordo poggerebbe su fondamenta instabili. Non solo per la evidente provvisorietà del governo. Anche il probabile referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari o la meno probabile ordinanza di ammissibilità del referendum elettorale delle Lega potrebbero far crollare tutto nel breve giro di tre giorni. Tra il 12 (termine ultimo per arrivare a 64 firme di senatori che chiedono il referendum confermativo) e il 15 (camera di consiglio della Corte costituzionale sul quesito leghista) gennaio.