La sicurezza con la quale Virginia Raggi assicurava davanti alle telecamere di Bruno Vespa che il nuovo progetto dello Stadio della Roma non avrebbe trovato impasse se non ci fossero state esplicite censure degli atti da parte della magistratura, sparisce ancora prima che la sindaca metta piede in procura («come parte lesa», asserisce lei, ma la questione è ancora da verificare). La notizia dell’iscrizione sul registro degli indagati anche del presidente del Coni, Giovanni Malagò, che di per sé non sarebbe stata neppure troppo degna di nota, fa però l’effetto di una doccia gelata nell’ambiente tutt’altro che garantista del Movimento 5 Stelle. E così, ancora prima di recarsi nel pomeriggio a Piazzale Clodio, dove per oltre un’ora è stata ascoltata come persona informata sui fatti dai pm romani Paolo Ielo e Barbara Zuin, titolari dell’inchiesta sul business park di Tor di Valle, la sindaca Raggi ieri mattina ha fatto il punto in Campidoglio con il dg dell’A.S. Roma, Mauro Baldissoni, e insieme hanno deciso di avviare una verifica interna di tutti gli atti istruttori del nuovo progetto dello Stadio.

Una sorta di operazione di due diligence al fine di evitare successivi stop o ricorsi durante l’iter che ha subito una brusca frenata proprio quando il piano definitivo di Tor di Valle era pronto per affrontare il voto del Consiglio sulla variante urbanistica. Controlli, che coinvolgeranno gli assessori competenti, da compiere il più velocemente possibile perché Mr. James Pallotta ha già avvisato che non attenderà a lungo prima di tornarsene a Boston, malgrado abbia già investito oltre 60 milioni di euro sulla cittadella. «Per maggior sicurezza dei cittadini, dell’amministrazione e dell’A.S. Roma avvieremo immediatamente una verifica – ha annunciato Raggi alla fine dell’incontro – Se darà esito positivo, si potrà continuare. Per tutto il resto, confidiamo nella magistratura. Noi vorremo proseguire con questo progetto nel solco della legalità, e questa verifica è una ulteriore garanzia per un progetto molto importante». Ma se è vero che le indagini della magistratura non hanno riguardato finora gli atti della procedura amministrativa, è però altrettanto vero che la società Eurnova, sia pure commissariata, potrà difficilmente essere considerata ancora partner del programma, se dovesse essere comprovata la tesi della procura che avrebbe riscontrato «una sostanziale sovrapposizione dell’organizzazione criminale alla struttura societaria» dell’impresa di Luca Parnasi.

Il costruttore, che da mercoledì è rinchiuso nel carcere milanese di San Vittore, ieri si è avvalso della facoltà di non rispondere alle domande del gip durante l’interrogatorio di garanzia a cui sono stati sottoposti tutti i nove arrestati: «Avevamo bisogno di leggere gli atti con un minimo di attenzione – ha spiegato il suo legale – presumibilmente renderemo interrogatorio al pm di Roma, è sua intenzione fornire la propria versione dei fatti» ma, ha precisato l’avvocato, la lettura dei fatti è complessa e richiede un’interpretazione ragionata da parte di Parnasi.

Anche il vicepresidente del consiglio regionale del Lazio, Adriano Palozzi (FI), ai domiciliari, accusato di aver erogato fatture per operazioni inesistenti per 25mila euro, non ha risposto alle domande del gip, mentre l’ex assessore regionale Michele Civita (Pd) «ha riconosciuto di aver commesso un errore personale censurabile sotto il profilo etico» nel chiedere a Parnasi un posto di lavoro per il figlio, ma secondo il suo avvocato lo avrebbe fatto «quando non era più assessore e non era ancora neanche Consigliere». L’episodio perciò, secondo il legale, non sarebbe in relazione con la vicenda dello stadio, nei confronti del quale Civita sarebbe «sempre stato molto rigido». «Ha sbagliato ma non è un reato, abbiamo chiesto una revoca della misura cautelare».

Istanza di scarcerazione è stata chiesta anche dagli avvocati di Luca Lanzalone, l’ex presidente di Acea, anch’egli ai domiciliari con l’accusa di aver accettato da Parnasi promesse di consulenze per circa 100 mila euro, durante l’interrogatorio durato tre ore: «Nella mia vita non ho mai compiuto nulla di illecito, respingo con forza ogni addebito», avrebbe detto alla gip rispondendo, secondo il suo legale, «a tutte le domande».

Chi invece chiede formalmente ai pm di essere ascoltato è Giovanni Malagò che, dopo aver appreso dai giornali di essere indagato, ha presentato ieri istanza per rendere dichiarazioni spontanee. «Questa cosa qui non esiste, non è mai esistita», avrebbe risposto ai giornalisti di Repubblica on line. La «cosa» sarebbe l’accusa di essere in «stretta relazione» con Parnasi: all’imprenditore avrebbe promesso di interloquire con le dirigenze calcistiche e con personaggi istituzionali (forse anche il ministro dello Sport Luca Lotti) per supportare lo Stadio della Roma e il progetto embrionale dello Stadio del Milan. In cambio avrebbe ottenuto da Parnasi un incontro con il fidanzato di sua figlia per trovargli un posto di lavoro a Roma, altrettanto remunerativo di quello che l’uomo – tale Gregorio – aveva già. Difficile effettivamente credere che Malagò navighi in così cattive acque.