Una piccola riapertura per la possibilità di discutere un accordo, ma solo se i sindacati cambieranno davvero rotta. Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha risposto così alla richiesta unitaria avanzata due giorni dai sindacati per un ritorno al tavolo delle trattative; rinnovando però parallelamente i contratti aperti, avevano specificato Cgil, Cisl e Uil. Lo ha fatto in un’intervista al Messaggero, mettendo però subito le mani avanti su un punto: eventuali nuove regole si dovranno applicare subito, già alle vertenze in atto, «perché non è possibile aspettare quattro anni».

«Sul fronte dell’economia abbiamo alle spalle sette anni tremendi – ha spiegato Squinzi – E la congiuntura attuale non lascia intravedere una ripresa facile. È perciò illogico che si proceda su sentieri vecchi, privi di collegamento con il reale». Il riferimento è alla richiesta di adeguamenti sganciati dalla produttività, insostenibili a parere della Confindustria: «Le nuove relazioni industriali si dovranno perciò ispirare alla produttività», dice infatti il presidente degli industriali.

L’adeguamento del salario legato all’Ipca (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato) è costato in tre anni, afferma ancora Squinzi, «almeno 4,1 miliardi. E ciò mentre molte imprese faticavano a stare in piedi», «un salasso ingiusto». «Nessuno ha mai parlato né di riduzione né di moratoria. Semplicemente gli aggiustamenti del salario vanno legati ai risultati aziendali».
«I contratti di categoria costituiscono la base del nostro modello di relazioni industriali. Oggi però chiediamo di cambiare le regole per i rinnovi» mentre, ha proseguito il leader degli industriali, «Cgil, Cisl e Uil vorrebbero il contrario: prima la firma dei contratti nazionali di categoria e poi la riforma delle regole generali. Così se ne riparlerà tra quattro anni».

Squinzi liquida come «sciocchezze» l’ipotesi che la rottura sia concordata per facilitare un intervento governativo in materia: «Se Renzi vuole intervenire sulla rappresentanza non ha bisogno certo del nostro viatico». E ai sindacati, che si sono detti pronti a procedere parallelamente sui rinnovi e sul nuovo modello contrattuale, replica: «Se la volontà di raggiungere un accordo è concreta, lo vedremo dai fatti».

I sindacati, dal canto loro, ribadiscono il no a un intervento dell’esecutivo in una materia che ritengono di pertinenza dell’autonomia delle parti sociali: Susanna Camusso (Cgil) ha detto che «un governo che avesse a cuore davvero la ripresa del Paese tiferebbe per l’aumento dei salari», come suggerisce anche l’Fmi; «in questa stagione delle diseguaglianze indebolire la contrattazione collettiva, a favore per esempio del salario minimo, vuol dire creare le condizioni per un futuro di povertà diffusa». E ha contrapposto la figura di ex presidenti della Confindustria, come Angelo Costa e Gianni Agnelli, a quello attuale: «Pur nella durezza delle loro posizioni hanno sempre riconosciuto il valore del lavoro e della tutela del salario».

La Cisl spiega di aver bloccato lei il governo nel momento in cui voleva esercitare la delega sul salario minimo, e torna a chiedere una sola azione da parte dell’esecutivo: «Detassare gli aumenti del secondo livello, così da poter incentivare la produttività».

Dal fronte delle categorie, Walter Schiavella (Fillea Cgil, edili) chiede ai tre sindacati di «costruire subito una proposta unitaria». Fim e Uilm (metalmeccanici) sollecitano Federmeccanica: «Ci convochi per avviare la trattativa sul biennio 2016-2018». Dall’altro lato c’è la Fiom, con la sua piattaforma, che sarà varata il 23 e 24 ottobre da un’assemblea dei delegati: «Tuteliamo il contratto nazionale – dice Maurizio Landini – ma per innovarlo: negoziando i rinnovi ogni anno». an. sci.