Dopo anni di ripetuti «ultimatum» a tempo indeterminato (cioè senza una precisa scadenza) ribaditi dagli industriali a partire dalla loro Assemblea annuale di fine maggio, e giù giù poi lungo tutto l’anno, questa volta la dead line imposta da Giorgio Squinzi ha tutto il sapore di un bel divorzio: Confindustria così scaricherebbe Enrico Letta, fiutando intanto l’ipotesi di un governo Renzi.

La settimana è stata una delle più sofferte per Letta nel suo rapporto con gli imprenditori (nonostante il suo ricco curriculum di esperto in economia e nei rapporti con i produttori): prima le accuse di immobilismo da parte di Squinzi, poi la sua piccata risposta – dagli emirati ha parlato di «disfattismo» – infine l’incontro di due giorni fa, che doveva portare a ricucire.

Ma che: Squinzi intervistato ieri da Giovanni Minoli su Radio 24 ha detto chiaro e tondo che «se Letta il 19 febbraio si presentasse con la bisaccia vuota, a noi non resterebbe che appellarci al presidente Napolitano».

Il 19 febbraio è previsto il consiglio direttivo di Confindustria, e Enrico Letta proprio per quel giorno è atteso nella sede nazionale di Confindustria, in Viale dell’Astronomia a Roma. Un incontro che non potrà essere di sole chiacchiere, ma che dovrà essere concreto: «Della serie – ha detto tra il serio e il faceto Squinzi – qui i soldi, qui il cammello». La fiducia degli industriali è ormai esaurita, quindi non può più essere concessa in modo gratuito.

Questa la lettura «ufficiale» degli avvenimenti, ma certo insospettisce che il crollo del consenso confindustriale precipiti proprio in questi giorni in cui si parla di una staffetta Letta-Renzi. L’associazione è sempre critica negli ultimi mesi nei confronti del governo, per carità, a partire dalla questione del cuneo fiscale nella legge di stabilita; ma era sempre stata cauta nell’ipotizzare cambi di governo, così esplicita insomma non lo era stata mai.

Il premier, nell’incontro di due giorni fa, ha spiegato Squinzi, «si è impegnato a tornare da noi per il consiglio direttivo di Confindustria portando soluzioni, alcune già fatte e alcune avviate»; «ma se dovesse arrivare con la “bisaccia vuota” sarebbe un grosso problema: a quel punto non ci resterebbe che appellarci al presidente della Repubblica». Squinzi ha poi ricordato, per smorzare i toni, di conoscere «bene Letta da tanti anni» e ha spiegato di essere convinto che «il suo immobilismo deriva da una situazione politico-istituzionale piuttosto confusa». Ma certo non è più il tempo degli sconti.

Non sono bastati evidentemente i 500 milioni di euro riportati dagli emirati, da investire nel fondo della Cassa depositi e prestiti destinata al finanziamento delle piccole e medie imprese; né gli ulteriori 250 milioni di euro, in parte Ue in parte nazionali, messi sul piatto ieri dal governo (forse proprio per dare un segnale dopo le polemiche): fondi destinati alla ricerca e innovazione delle aziende, che potranno essere utilizzati per assumere giovani cervelli non destinati così alla fuga.

«Più che un disfattista penso di essere un realista – ha spiegato Squinzi rispondendo sull’ormai celebre appellativo appioppatogli dal premier – Il presidente Letta mi ha convocato a palazzo Chigi, ci siano spiegati, gli ho presentato le nostre priorità che devono essere realizzate in tempi strettissimi».

In prospettiva, gli industriali vedono già un governo Renzi, o comunque hanno deciso di spostare il timone verso il nuovo uomo forte del Pd, il segretario corteggiato da più parti perché formi un nuovo esecutivo. Ieri Squinzi e Matteo Renzi si sono incontrati a Firenze, nel corso di una iniziativa pubblica, e hanno parlato brevemente prima dell’inizio del dibattito. Si sono accordati per un colloquio telefonico che avverrà il 12 o 13 febbraio. Nel contempo, Squinzi ha dato l’ok alla legge elettorale concordata con Silvio Berlusconi: «Se il risultato finale sarà quello di una stabilità e di una capacità vera di governare va nella direzione giusta».