«Se chiudono le imprese muore il Paese». A forza di grida d’allarme, la Confindustria ha perso la voce: ieri l’ennesimo appello del presidente, Giorgio Squinzi, davanti alla platea della Piccola Industria a Torino. Un’assemblea chiave, in un momento in cui sono tornati sulle prime pagine i suicidi degli imprenditori (spesso proprio dei piccoli), un esecutivo non si forma (in uno stallo surreale), e – elemento non da poco – accettano di partecipare i segretari dei sindacati confederali: Cgil compresa. Squinzi ha puntato il dito contro i «50 giorni di inerzia totale» della politica, dal voto di febbraio: una «vittoria del non-governo» già costata al Paese, è il suo calcolo, un punto di Pil «buttato via».

«Basta con questo gioco dell’oca», dice Squinzi. Non serve «un governo purché sia», precisa il presidente di Confindustria, «tanto per assolversi la coscienza», ma «un esecutivo di qualità, capace di adottare gli opportuni provvedimenti con al primo posto dell’agenda il lavoro e le imprese». Accanto a questo, come ha ricordato due giorni fa il leader dei piccoli imprenditori, Vincenzo Boccia, serve «un patto dei produttori» che punti innanzitutto a salvare la fabbrica. Perché senza manifatturiero il paese non riparte. E Squinzi, dopo aver ripetuto i dati da economia di guerra, evidenziati dall’ufficio studi di Confindustria, reclama la priorità di una crescita fondata sull’industria.

Il patto, spiega il leader degli industriali, è «irrituale», ma le imprese si prendono da subito in carico la loro parte: «Ci impegniamo su quello che dobbiamo fare noi adesso per il paese: tutta Confindustria, sta operando per mettere in circolazione credito e linfa vitale adesso». «Vogliamo interventi mirati e realizzabili, risorse vere», aggiunge poi Squinzi, che definisce «un primo passo» lo sblocco dei 40 miliardi di crediti delle imprese verso la pubblica amministrazione: «Ma non molleremo la presa», aggiunge, fino a quando tutto, ovvero 100 miliardi, sarà saldato.

Contemporaneamente la Confindustria chiede alla politica un «intervento anticongiunturale» utilizzando le risorse europee non spese, una legge per i beni strumentali, l’information technology, il sostegno dei mercati esteri, l’apertura dei cantieri per la protezione del territorio, il risparmio energetico, la ristrutturazione del patrimonio pubblico, il credito di imposta per l’innovazione, l’occupazione giovanile e la ricerca. Un panorama che, insomma, vede un Paese a pezzi, dove solo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è per Squinzi «straordinario esempio di serietà istituzionale e di vera cura per l’interesse nazionale».

Alla richiesta di patto, risponde con entusiasmo il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, e un’apertura si registra anche dalla leader della Cgil, Susanna Camusso. Luigi Angeletti, della Uil, va addirittura oltre, proponendo in una nota «iniziative comuni», quasi a prefigurare una sorta di sciopero-serrata concordato: «È evidente, ormai – scrive Angeletti – che imprese e sindacati devono agire concordemente per affrontare la crisi economica e occupazionale, per chiedere la riduzione delle tasse sul lavoro e dei costi della politica e per puntare allo sviluppo. Adesso bisogna andare oltre le intenzioni e costruire, insieme, proposte concrete e non generiche, definendo tempi, azioni e strategie con cui sostenerle».

Bonanni, come detto, sostiene in pieno la linea Squinzi: «I produttori devono essere alleatissimi per dare una sveglia all’Italia politica», sottolinea usando non a caso il superlativo. «Facciamo una santa alleanza tra imprese e sindacati», riprende. Per il leader della Cisl, applaudito dalla platea dei piccoli imprenditori, «le parti sociali devono essere l’impalcatura su cui ricostruire il nostro Paese». Quanto allo sciopero-serrata proposto da Luigi Angeletti, Bonanni ha tagliato corto: «Vedremo, lo decideremo tutti insieme».

«C’è una valanga in corso, e i due elementi che la compongono sono il lavoro e il fisco. Per entrambi la parola d’ordine è “redistribuzione”»: con queste parole Susanna Camusso ha iniziato il suo atteso intervento sul palco del convegno di Torino. «Prima di fare tutto questo, però – ha aggiunto la segretaria della Cgil – occorre chiudere la lunga stagione degli strappi e delle divisioni», ricostruendo le regole delle relazioni industriali e della rappresentanza. «È la premessa per poter agire insieme», ha rimarcato Camusso, ricordando a proposito del patto dei produttori, che la Cgil ha il copyright con le proposte dell’ex segretario Bruno Trentin.

La Cgil accoglierà l’invito a «un patto»: «Pensiamo che più che parlare dei contenitori, di dire se è un patto o se non lo è, bisogna provare a fare delle cose concrete – ha infine spiegato la segretaria generale della Cgil – Le cose concrete che si possono fare sono: guardare alla redistribuzione fiscale, cioè alleggerire la pressione su lavoratori e imprese; ragionare su difesa del lavoro e sulla sua redistribuzione: cioè più contratti di solidarietà, meno licenziamenti e meno cassa integrazione a zero ore». Spazi, per sinergie con gli industriali, ci sono «anche sul fronte delle politiche di crescita». E si può «chiedere insieme il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali». Infine, «bisogna riscrivere un codice delle relazioni su rappresentanza e democrazia».