Il salario è «una vecchia questione monetaria». Per il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi i sindacati fanno male a anteporlo alle «relazioni industriali». Nel clima di rinnovata fiducia dei consumatori nella crescita registrata negli ultimi due trimestri, confermato ieri dall’Istat, il bisogno dei lavoratori dev’essere vincolato alle esigenze delle imprese. «Sono arrovati ai “picci”, ai soldi, come ha detto il segretario della Uil Barbagallo – ha continuato Squinzi – imprese non possono sopportare tutto il carico del paese». Per il momento hanno ricevuto «solo» 5-6 miliardi di euro di sgravi contributivi sulle assunzioni nel Jobs Act. Ora si tratta di andare all’incasso di altro.
L’attacco di Squinzi riguarda i contratti nazionali sui quali la segretaria della Cgil Susanna Camusso ha imposto uno stop a Confindustria, segnando una differenza. »Un dialogo tra sordi» lo ha definito il presidente di Confindustria: «Il sindacato è arroccato sulle sue posizioni, ma non faremmo il bene delle imprese e del nostro paese accettando un’impostazione di questo tipo». L’impostazione che Squinzi vuole far digerire ai lavoratori dipendenti privilegia gli interessi delle imprese, non i loro salari. «Sicuramente c’e un pò più di fiducia determinata dai numeri positivi che sono usciti dopo 13 trimestri di Pil negativo» ha detto – Da questo punto di vista ci sono tanti fattori che ci mandano nella giusta direzione, ma bisogna fare le riforme». Un investitura del governo che ieri ha brindato ai dati sulla fiducia dei consumentari comunicati dall’Istat.

La fiducia ha raggiunto a settembre il livello più alto da oltre 13 anni. Lo ha rilevato l’Istituto nazionale di Statistica secondo il quale tutte le stime delle componenti della fiducia sono in aumento: quella economica è passata dai 133,1 di agosto a 143,2 di settembre, mentre migliorano i giudizi e le attese dei consumatori sulla situazione generale del paese con un saldo che scende, rispettivamente, da -61 a -47 e sale da 6 a 14. Un exploit così non lo si vedeva dal 2002. Nel settore manifatturiero, l’indice sale a 104,2 da 102,7, in quello delle costruzioni a 123,3 da 119,5, in quello dei servizi di mercato a 112,2 da 110,0 e in quello del commercio al dettaglio (a 108,8 da 107,8). Più in dettaglio, nelle imprese manifatturiere migliorano sia i giudizi sugli ordini sia le attese sulla produzione, mentre i giudizi sulle scorte rimangono stabili. Quanto alle costruzioni, migliorano sia i giudizi sugli ordini o piani di costruzione sia le attese sull’occupazione. Nelle imprese dei servizi sono in progresso i giudizi e le attese sugli ordini ma non le attese sull’andamento generale dell’economia. Infine, nel commercio al dettaglio, migliorano i giudizi sulle vendite correnti, mentre peggiorano le attese sulle vendite future e sono giudicate in diminuzione le giacenze di magazzino. «Le aspettative di crescita dei prossimi mesi appaiono favorevoli» ha detto ieri il presidente dell’Istat Giorgio Alleva nel corso di un’ audizione sul Documento di economia e finanza al Senato e ha confermato che si registrano «migliorate attese sull’andamento dell’economia». Il mercato del lavoro presenta una «tendenza complessivamente positiva» con il secondo trimestre che mostra una dinamica dell’occupazione «favorevole». Da «gennaio a luglio l’incremento degli occupati ha superato le 100mila unità». La crescita riguarda esclusivamente i lavoratori dipendenti. Per gli indipendenti l’Istat conferma il calo. Questo dato sarebbe un effetto del Jobs Act e «potrebbe costituire un segnale positivo per la crescita». Inoltre si è «ridotto il ricorso cassa integrazione». Quanto alla disoccupazione si è stabilizzata ha spiegato Alleva.

La prudenza è d’obbligo: le stime Istat riguardano infatti la percezione dell’opinione pubblica rispetto alle notizie sulla crescita. Su questa percezione influisce il sistema mediatico che pompa l’ottimismo del governo alla luce degli ultimi due trimestri con il segno più. Restano escluse le valutazioni più approfondite sulla natura e la qualità della crescita del Pil e i suoi effetti sulla creazione di nuova occupazione, e non solo sulle conversioni dei vecchi contratti precari in quelli «stabilmente precari» del Jobs Act. La ripresa c’è, ma è fragile e non intacca in maniera significativa la disoccupazione – che resta stabile. «I dati ci dicono che il Paese ha ricominciato a credere in se stesso, siamo al fianco delle famiglie e delle imprese in questo percorso, sia con la riduzione fiscale che abbiamo operato sia con nuovi investimenti che ci apprestiamo a licenziare» ha detto il ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Graziano Delrio.