Cristina Zavalloni è impertinenza, è soavità spregiudicata, è tenerezza inquieta. Cristina Zavalloni è anti-accademia. Cristina Zavalloni è jazz e un minuto dopo altra musica con quell’impronta jazz che magari non si perde del tutto. Trovarla in queste vesti amate in uno strano recital all’insegna della luna, ma con tanta semplicità e tanta sventata domesticità, è piacevole. Molto. È come riannodare i fili con quel suo memorabile spettacolo intitolato Con tutto il mio amore. Omaggio a Cathy Berberian, nel quale passava da Berio e Andriessen alla Rita Pavone del Ballo del mattone aggirandosi in scena tra gigantografie di Cathy, la musa del virtuosismo irregolare e della sovversiva ecletticità.

Col quartetto Special Dish di cui fa parte insieme a Cristiano Arcelli (altosax), Daniele Mencarelli (basso), Alessandro Paternesi (batteria), la chanteuse bolognese si è messa a cantare la luna. Nella nota che scrive per il booklet del nuovo cd (Special Moon, Encorejazz/Egea) si affretta a precisare che non si tratta più di lune «tedesche, malate, ubriache, espressioniste, possibilmente accompagnate da languidi Pierrot», allusione precisissima al Pierrot lunaire di Schönberg che Zavalloni ha interpretato in passato. Un altro ripudio – la modernità/contemporaneità «eurocolta» – dopo quello della free improvisation ai tempi dell’uscita dal Collettivo Bassesfere?

Ma no, Zavalloni vuol solo dire che la sua luna è contemplata, evocata, fatta oggetto di gioco in una chiave che si può definire pop. Zavalloni pop in questo cd. Ma anche jazz. Prendete per esempio Tintarella di luna affrontata senza nessun timore del fantasma irresistibile di Mina. La canta tutta come se fosse un’improvvisazione scat. E una cosa simile succede in Blue Moon. Bello trovare Zavalloni jazz. La troviamo anche in Fly me to the moon e persino nella seconda parte di Le tigre e le chat, un suo brano di sapore «trovadorico» che a un certo punto diventa un pochino swing. Arcelli fa la sua parte, non piccola, nell’accentuare il clima jazz. Con begli assoli boppistici scorrevoli e un’arte speciale nel ruolo di «interlocutore», con guizzi arguti.

Poi c’è il capitolo a parte costituito da due interpretazioni diverse dell’«arietta» Vaga luna che inargenti di Vincenzo Bellini. Non ce ne voglia Jan Bang, arrangiatore, che avvolge la prima versione di effetti elettronici suadenti, ma la seconda versione che vede Zavalloni in duo col solo bassista Mencarelli è preferibile. La cantante non sfida, mettiamo, nessuna Cecilia Bartoli, ma si abbandona all’incantevole melodia come se fosse una ballad. Le inflessioni che arrivano dalla sapienza di preparatissimo soprano, però, non mancano.