I campioni allergici al vaccino finiscono in panchina. Anzi, sul divano di casa, perché tornei e campionati a diverse latitudini iniziano ad adeguarsi alle leggi non scritte della pandemia: in gara solo atleti immunizzati, chi non si adegua, non partecipa. E se la maggior parte degli sportivi si è sottoposta alla vaccinazione, ci sono eccezioni rumorose.

IL NUMERO UNO DEL TENNIS mondiale Novak Djokovic ha spiegato che con ogni probabilità non prenderà parte all’Australian Open, prima prova del Grand Slam che si tiene a gennaio, uno dei quattro tornei major del circuito Atp. Nessuna deroga per il comitato organizzatore australiano, serve il certificato vaccinale. Anche per vedere in campo Djokovic. A Melbourne da poche ore si è chiuso un lockdown di 262 giorni, il più lungo al mondo, davanti ai 234 giorni di clausura forzata di Buenos Aires. E quindi senza retromarcia del serbo, Australian Open senza Djokovic (nove volte vincitore del torneo) che ha aggiunto di volersi sentir chiedere se sia vaccinato o meno.

Ad agosto dello scorso anno Djokovic si è detto contrario alla vaccinazione obbligatoria. Due mesi prima si era pure ammalato, assieme alla moglie, durante il disgraziato torneo-esibizione da lui organizzato (mentre il circuito professionistico era fermo per la pandemia) in Croazia, l’Adria Tour, tra atleti in posa con i tifosi senza mascherine – molti poi sono risultati positivi al Covid-19 – e la presenza del pubblico sugli spalti senza alcuna limitazione. Mentre l’Italia riprendeva fiato dopo il lockdown, a meno di 100 chilometri dal confine Djokovic metteva in piedi una competizione aspramente criticata dalle autorità dello sport mondiale. E non se ne è mai pentito pubblicamente.

Novak Djokovic.@Ap

IL SERBO È QUINDI UN NOVAX convinto, irrecuperabile. Ma non è l’unico tra i tennisti. Il greco Tsitsipas, vincitore dello Us Open a settembre e scelto dal governo greco come testimonial della campagna vaccinale, si è beccato il rimprovero pubblico dell’esecutivo per il dietrofront e l’opposizione alla vaccinazione, per poi cambiare nuovamente idea perché il vaccino era il suo passepartout per andare al ristorante.

MA LA CORTINA DI FERRO che protegge dagli atleti No Vax attraversa oceani e continenti. Nella Nba partita la scorsa notte con la regular season c’è una delle stelle più pagate, Kyrie Irving (Brooklyn Nets), pronto a lasciare sul tavolo 41 milioni di dollari (l’ingaggio annuo) per il suo rifiuto a vaccinarsi.

Secondo le regole imposte dallo stato di New York il cestista può accedere alle strutture di allenamento e alle partite casalinghe solo se immunizzato. Irving si è rifiutato, spiegando con la sua scelta di voler sostenere una battaglia per dare voce a chi si trova costretto al vaccino. Avrebbe potuto giocare le partite in trasferta dei Nets, ma la sua società ha deciso di tenerlo fuori tutta la stagione, pagandogli pure lo stipendio.
Nessuno sconto dalla Nba, che ha perduto, causa pandemia, circa quattro miliardi di dollari, tra biglietti non venduti, diritti tv, danni al merchandising. Per non correre rischi, il circo più ricco del basket mondiale ha obbligato al vaccino gli staff tecnici delle squadre e anche gli arbitri, stabilendo che per chi avversa il vaccino ci saranno test quotidiani, prima di allenamenti, viaggi e partite.

Poi niente pranzi o cene nella stessa stanza di un collega vaccinato o membro dello staff e il rispetto di almeno due metri di distanza da qualsiasi altra persona. Ai NoVax viene assegnato un armadietto il più lontano possibile da quelli degli altri compagni di squadra, gli atleti dovranno viaggiare in posti lontani sugli aerei e non potranno lasciare il loro appartamento o il loro hotel, né partecipare ad avvenimenti pubblici. Un regolamento così duro da indurre un altro cestista NoVax, Andrew Wiggins (Golden State Warriors) a sottoporsi al vaccino. E per rafforzare l’assunto, la Nba si è affidata al più forte di sempre, Michael Jordan, sceso in campo a sostegno della campagna vaccinale tra i giocatori di basket.

Andrew Wiggins. @Ap

LA NBA CONTA SUL 96% dei cestisti vaccinati, è la lega con la copertura più elevata; anche il campionato di hockey (Nhl) viaggia oltre il 90%.
Per il calcio europeo, tra le maglie fitte della privacy, si è saputo che anche la Serie A si assesterebbe sulle stesse percentuali, con sette squadre totalmente immunizzate e una ventina di calciatori ancora fuori dal coro, mentre in Premier League si è all’81% di prime dosi e al 68% di calciatori immunizzati.

La linea dura negli Stati uniti è stata provocata anche dalle polemiche per i 100 atleti (su 413) privi di vaccinazione alle Olimpiadi giapponesi, con il caso limite del nuotatore Michael Andrew, in mixed zone senza mascherina. Il comitato olimpico statunitense ha già deciso per l’obbligo vaccinale per gli atleti della delegazione che parteciperà ai Giochi olimpici invernali di Pechino 2022 ma il focus sul rapporto sportivi e vaccini si allunga sul Qatar che ospiterà la Coppa del Mondo di calcio tra novembre e dicembre del prossimo anno.

IL COMITATO ORGANIZZATORE dell’emirato arabo e la Fifa sono in trattative. Il primo ministro del Qatar, lo sceicco Khalid bin Khalifa bin Abdulaziz Al Thani (fratello del patron del Paris Saint Germain) aveva annunciato a giugno che avrebbe imposto a tutti i tifosi l’obbligo di vaccinazione per l’ingresso in Qatar in occasione dei Mondiali. L’estensione dell’obbligo dovrebbe arrivare fino ai calciatori. Misure che rientrano in un’operazione più generale di sportswashing, di pulizia della fedina penale del comitato organizzativo qatariota, sotto accusa per la morte di oltre seimila migranti nei cantieri delle infrastrutture realizzate per i Mondiali.

A questo punto tremano anche le federazioni. Quella inglese si ritrova con cinque nazionali NoVax (tra cui tre che hanno affrontato l’Italia nella finale di Euro 2020) sinora poco propensi a lasciarsi convincere, influenzati da teorie di complotti sulla dittatura sanitaria o, come ha scritto il tabloid The Sun, dal parere negativo di mogli e compagne.