Nell’«area grigia» della criminalità organizzata, quel sottobosco di professionisti e colletti bianchi che è il cuore pulsante del potere criminale, un posto di rilievo lo hanno spesso avuto settori corrotti delle forze di polizia. Le mafie si sono nel tempo nutrite di massoneria deviata, finanza criminale, destra eversiva, frange dei servizi e degli apparati repressivi. Ecco perché la coda dell’inchiesta «Purgatorio», con cui la Dda di Catanzaro qualche mese fa aveva già monitorato i vertici dello Stato in questo lembo di Calabria, non sorprende più di tanto. Da lì è stato un susseguirsi di tasselli, messi insieme grazie soprattutto ad intercettazioni, che hanno permesso di confermare i rapporti tra i tre personaggi arrestati e, soprattutto, i favori di cui la potente cosca Mancuso di Limbadi avrebbe goduto.

L’accusa che ha portato all’arresto di Maurizio Lento, ex capo della mobile di Vibo Valentia, del suo vice, e di Antonio Galati, uno dei legali di fiducia dei Mancuso, capace, secondo l’ordinanza di custodia cautelare, «di interagire con pezzi importanti dello Stato», si basa su un dato che appare oggettivo: dal giugno 2009 al novembre 2011 (data che segna la fine della reggenza dell’ufficio da parte di Lento) la Mobile vibonese non ha svolto praticamente alcuna attività investigativa di rilievo su quella che è tra le ‘ndrine più pericolose della Calabria, egemone nel narcotraffico internazionale. Secondo gli inquirenti è stata «completamente omessa l’effettuazione di qualsivoglia attività di iniziativa finalizzata anche al solo controllo del territorio». Nell’ordinanza viene citato un caso in particolare, ovvero il mancato accertamento degli obblighi della sorveglianza speciale da parte di Pantaleone Mancuso, detto «l’ingegnere». L’ultimo controllo risale al 2008 e oltretutto, in quella occasione, «si era concluso con esito positivo, essendo emersa la violazione da parte del sottoposto degli obblighi su di esso incombenti».

La ‘ndrangheta, regina delle infiltrazioni. Ovunque e in ogni settore economico. E diverse erano state le segnalazioni giunte in quel periodo alla Mobile di Vibo. Le attività del clan Mancuso erano state segnalate dalle autorità toscane, umbre e laziali. A Civitavecchia addirittura gli uomini della cosca sarebbero stati interessati alla costruzione di una centrale Enel (di cui questo giornale ha già dato ampio conto), e ancora truffe e traffico di droga. «Segnalazioni che – a detta degli investigatori – avrebbero dovuto formare oggetto di adeguato e mirato approfondimento investigativo». E invece i funzionari avevano già abdicato alle proprie funzioni, diventando scherani di quell’antistato che avrebbero dovuto combattere. Un’«inerzia» dei vertici della mobile di ben apprezzata dal boss Pantaleone Mancuso, che al telefono con l’avvocato Galati a proposito di Lento dice: «Deve essere una persona seria… invece quel ‘pagliaccio’ si vede tutti i giorni nella televisione… disgraziato». Il riferimento sarebbe a Rodolfo Ruperti, suo predecessore a Vibo, attuale dirigente della Mobile di Catanzaro, e colui il quale ha coordinato le operazioni di arresto dei colleghi. Affermazione alla quale Galati risponde: «Esatto!… vedete… notate la differenza!».