Il contratto, sempre che i soci contraenti arrivino a firmarlo, è di quelli esplosivi. Ieri l’Huffington Post ha pubblicato una copia della bozza, ancora provvisoria, che certo non deve aver fatto piacere al capo dello Stato. Più tardi è stato chiarito che si tratta di una bozza già superata e che almeno il capitolo più deflagrante, quello che prevedeva la possibilità di uscire dall’euro, non sarà presente nella versione finale. E’ confermata invece la creazione di un «Comitato di conciliazione» che, in caso di dissensi tra i gruppi di maggioranza o in situazione d’emergenza, interverrebbe decidendo al posto del governo. A comporlo, il premier, i leader e i capigruppo di Lega e M5S e il ministro competente per materia. Un vero e proprio organo di massimo potere non previsto in alcuna misura dalla Costituzione.

ALMENO IN QUESTA versione del documento ci sono altri aspetti che difficilmente potranno essere accolti dal Quirinale. C’è il superamento della Fornero con il passaggio alla famosa «quota 100», la Flat Tax, non quantificata, il reddito di cittadinanza, che dovrebbe essere in parte finanziato dall’Europa, la richiesta di cancellazione di 250 miliardi di debito da avanzare alla Bce. C’è il «ritiro immediato» delle sanzioni alla Russia. Poco e niente sull’immigrazione e per il resto un marchio giustizialista, conflitto di interessi incluso, che non solleverà certo l’umore di Berlusconi.

Ma quel contratto è già vicino al naufragio. Tanto più dopo gli interventi di ieri dei commissari Ue. Il monito di Bruxelles non coglie di sorpresa Matteo Salvini. Il leader leghista aveva annusato l’aria già da giorni e più che mai dopo il colloquio con Mattarella di lunedì. Per il presidente sono inaccettabili tanto l’idea di forzare i vincoli europei quanto quella di portare alle estreme conseguenze la lotta all’immigrazione. Non si tratta solo di programmi ma anche di nomi e ministeri. Quei semafori rossi significano anche un no a Salvini agli Interni e a un leghista all’Economia.

A CALDO IL LEADER del Carroccio replica parlando di «interferenze inaccettabili». A sera, prima dell’ennesimo summit con Di Maio, rincara e mette sul tavolo la fine del tentativo di dar vita a un governo, nonostante l’ottimismo profuso dai 5S. «Anche io sono ottimista, ma i giorni passano e io sono anche realista», gela gli ardori il leghista. «A Bruxelles – prosegue – qualcuno minaccia e ricatta. O nasce un governo forte con un’intesa su tutto o quasi o è meglio restituire la parola agli italiani». E’ la tentazione che per tutto il giorno ha circolato nello stato maggiore del Carroccio: quella di far saltare tutto prima di affidarsi ai gazebo.

LA TENSIONE PARTE da una sensazione precisa: quella che tra il capo dello Stato e M5S ci sia un feeling molto superiore a quello tra Salvini e Di Maio. Il fatto è che i due temi chiave per Bruxelles e per il Colle, la tenuta dei conti nei limiti dei vincoli europei e l’immigrazione, per i 5S sono fronti secondari, sui quali Di Maio si è sin qui mostrato cedevole in cambio di una legittimazione agli occhi dell’establishment. Il capo del Carroccio si sente quindi in una tenaglia formata dalla convergenza tra Quirinale e M5S ed è tentato dal sottrarsene dichiarando infelicemente conclusa la trattativa.

Salvini non può dirlo apertamente. Lo fa invece Giulio Sapelli, dando voce a sospetti che nella Lega sono unanimi. Commenta la sua fulminea estromissione dalla corsa al premierato addebitandola «all’asse tra Mattarella e Di Maio prono all’Europa». L’affondo è così esplicito che l’ufficio stampa del Colle deve smentire che la candidatura Sapelli sia mai stata avanzata. In effetti è vero. Lunedì M5S ha quanto meno sondato gli umori del capo dello Stato sull’eventualità di affidare l’incarico a Giuseppe Conte, solo per sentirsi rispondere che occorre un leader in grado di tenere banco in Europa. La candidatura Sapelli era a quel punto già tramontata ma è probabile che a decretarne il tramonto sia stata anche la consapevolezza di quanto poco il Quirinale avrebbe gradito.

DUNQUE SALVINI chiede a Di Maio di fare fronte comune sui temi sui quali il pentastellato ha privilegiato invece l’armonia con il Quirinale. Il leader a cinque stelle capisce che il rischio del tracollo è reale e con una di quelle svolte repentine nelle quali compete con Renzi si riscopre antieuropeista. Adotta anche lui i toni guerreschi del socio: «Contro di noi ci sono eurocrati non eletti da nessuno. Un certo establishment ha paura e teme il cambiamento. I vincoli europei vanno rivisti».

NEI PROSSIMI GIORNI, forse nelle prossime ore, sarà dunque la Lega a dover prendere una decisione che comunque coinvolgerà direttamente il Quirinale. Se M5S rifiuterà di spalleggiare il Carroccio nel braccio di ferro con l’Europa, o se i due leader non troveranno l’intesa su palazzo Chigi, il tavolo del programma chiuderà i battenti e Mattarella riproporrà il governo di garanzia. Se invece M5S si arruolerà nella crociata contro Bruxelles e rinuncerà alla presidenza del consiglio, il capo dello Stato dovrà vedersela con una maggioranza che naviga in direzione opposta a quella da lui auspicata.