I numeri cambiano, le promesse mirabolanti restano. In assenza del testo della Nota di aggiornamento al Def – doveva essere depositata in parlamento dall’ormai lontano 27 settembre, dovrebbe essere arrivata in nottata – tocca accontentarsi delle dichiarazioni.

IL NADEF – COME IL DEF – È l’atto politico meno rispettato nella storia dei governi. Basta andare a prendersi quelli del governo Renzi e confrontarli con quanto poi è successo all’economia italiana.
Il primo del «governo del cambiamento» Conte rischia di battere il record di scostamento anche a causa delle correzioni chieste e ottenute dal ministro Tria. Perché se il rapporto deficit-Pil passa dal 2,4 al 2,1 per cento nel 2020 e dal 2,4 all’1,8 per cento nel 2021 (con il debito che calerà ancora di più, 4,5 punti in tre anni: dal 130,9 al 126,5 per cento), rimangono tutte le misure di spesa promesse da M5s e Lega.

L’UNICA SENSIBILE DIFFERENZA riguarda la sottolineatura dello stesso Tria sugli investimenti pubblici. «Peseranno per lo 0,2 per cento sul deficit nel 2019 (pari a 3,4 miliardi), lo 0,3 nel 2020 (pari a 5 miliardi) e lo 0,4 nel 2021 (pari a 6,8 miliardi)». Anche qui però la promessa è assai impegnativa: «Il piano straordinario di investimenti ci consentirà di dimezzare il gap di crescita con l’Europa», pari ad uno 0,5 per cento di incremento del pil.

Se il premier Conte ha parlato di «riforme strutturali come la digitalizzazione della pubblica amministrazione, la revisione della riforma degli appalti e la riforma del codice civile» prospettando «un calo della disoccupazione nel triennio all’8 forse 7 per cento» – pari al poco fortunato «milione di posti di lavoro» di Berlusconi – sono stati i suoi vice a lanciare gli slogan politici veri, intestandosi le medaglie più utili al consenso.

SALVINI NE HA CITATE TRE. La prima è «il superamento della vigliacca riforma Fornero». A questo proposito però le parole del leader leghista sono state abbastanza fumose. L’unico nuovo impegno è quel «possibilità di uscita anticipata senza alcun tipo di penalizzazione». Dunque i 7 miliardi che fonti parlamentari leghiste confermano essere la posta di bilancio sulle pensioni (quelle del M5s li abbassano a soli 5) dovrebbero bastare per «mandare in pensione centinaia di migliaia di italiani», espressione meno roboante dei 400mila usata giorni fa dallo stesso Salvini. Cancellata l’ipotesi del taglio dell’1,5 per cento sull’assegno per ogni anno di anticipo, Quota 100 con almeno 62 anni di età e almeno 38 anni di contributi (col tetto di soli 24 mesi di «figurativi» che esclude chi è stato colpito dalla crisi) sarà un provvedimento molto nordista anche perché sarà aperto a tutti «senza limiti di reddito» e dunque ulteriormente regressivo come favore ai ricchi.

Al secondo posto Salvini cita la «flat tax al 15 per cento per partite Iva e piccoli», intesi come imprese «dimenticate dal Pd». La posta di bilancio per questa versione light della Flat tax è di 2 miliardi. L’ultima Salvinata riguarda «un piano straordinario per assumere 10mila uomini e donne nelle forze dell’ordine», costo stimato almeno un miliardo.

TOCCA POI A DI MAIO chiudere con i fuochi di artificio. «Pensione e reddito di cittadinanza e centri per l’impiego» con 10 miliardi di costo complessivo vengono subito affiancati dal «fondo per i truffati dalle banche», tutti «capisaldi del Movimento». Viene poi confermato il piano Calenda Industria 4.0 ma la sorpresa sta nel nuovo annuncio pro imprese (e Confindustria): «Un abbattimento dell’Ires per quelle che investono e assumono, che sarà più grande più saranno lunghi i tempi dei contratti». All’ultimo posto arriva la spending review versione M5s: «Taglieremo gli sprechi, tutto ciò che non serve nel bilancio dello stato».

ANCHE COSÌ I CONTI NON TORNANO. La lotta fra le due forze di maggioranza è anche sul pallottoliere, visto che i 16 miliardi ora disponibili non basterebbero: 10 per il reddito di cittadinanza M5s e 10 per pensioni, flat tax e sicurezza della Lega dà un totale di 20 e uno sforamento di ben 4 miliardi.

DI PIÙ NON SI PUÒ SAPERE. Anche perché il «governo del cambiamento» mantiene la tradizione di quelli a guida Pd: in conferenza stampa non si accettano domande. Solo proclami.

RIMANE PERÒ LO SPETTRO delle nuova «clausola di salvaguardia». Finita, si spera, la litania annuale della clausola di salvaguardia per evitare l’aumento dell’Iva – che nel 2019 costerà 12,5 miliardi -, ecco quella proposta dal ministro Tria come garanzia all’Ue. Se la crescita non arriva ai livelli promessi, si prevede un meccanismo automatico di riduzione della spesa per non sforare il deficit. Il governo non ha chiarito se il taglio sarebbe lineare su tutti gli esborsi (e quali) o solo sulle nuove spese. Difficile però pensare che M5s e Lega accettino che si blocchi l’erogazione del salario di cittadinanza o Quota 100 sulle pensioni.