La riduzione dello spreco alimentare – una sfida allo stesso tempo etica, sociale, ambientale economica – è entrata a pieno titolo nell’Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile: l’obiettivo dichiarato è dimezzarlo a livello globale (Goal 12.3). Ci riusciremo? Difficile prevederlo, ma almeno sembra più realistico degli obiettivi di azzerare la fame e la povertà, peraltro in un lasso di tempo così ridotto e con l’impatto della pandemia covid-19 ancora in corso. Per questo, in collaborazione con Ipsos abbiamo portato l’Osservatorio sullo spreco alimentare a livello internazionale (Waste Watcher International) con l’intento di realizzare il primo strumento globale per analizzare i comportamenti dei consumatori e monitorare le politiche pubbliche e private che si pongono l’obiettivo di mettere il cibo al centro della sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Il primo rapporto globale sarà disponibile dalla fine di settembre, nel frattempo vale la pena inquadrare il fenomeno a livello nazionale considerando che quanto rilevato in Italia può essere un utile percorso da estendere in altri Paesi.

Paradossalmente, nell’attuale fase pandemica la riduzione dello spreco alimentare, passando per il recupero a fini caritativi e per la prevenzione a fini educativi, assume una valenza strategica per la rigenerazione di una società più equa, sostenibile e solidale.

Accesso, eccesso e non accesso al cibo diventano – assieme a povertà e sicurezza alimentare – le parole chiave da declinare concretamente attraverso una serie di azioni. I primi dati che emergono dal nostro Paese sono confortanti (Waste Watcher International 2021: il caso Italia). Nel corso dell’anno pandemico abbiamo assistito sia ad una riduzione delle quantità di cibo sprecate (si è passati dai 600 etti la settimana dell’anno pre-pandemia ai 529 grammi: con un calo di 3,6 kg e un risparmio di 6 € pro capite, ovvero 376 milioni € a livello nazionale), sia ad un aumento dei livelli di coscienza delle persone intorno al tema dello spreco alimentare.

Tra gli italiani l’atto di gettare cibo nei rifiuti è sempre più percepito come un gesto deleterio per la società, per le persone e per il futuro dell’ambiente. Esso è vissuto come uno spreco inutile di denaro per le famiglie (85%); un atto diseducativo per i giovani (84%); un’abitudine immorale (83%) e uno spreco di risorse vitali (80%). Per le persone gettare cibo aumenta, inoltre, l’inquinamento (77%), produce perniciose conseguenze economiche e sociali (76%), ha gravi conseguenze ambientali (76%), alimenta le disuguaglianze tra Paesi ricchi e poveri (72%) e contribuisce al riscaldamento globale (69%).

Un comportamento alimentare virtuoso che però solo una parte di persone, quelle che hanno accesso al cibo, riescono a mettere in pratica: il bicchiere mezzo pieno nel food divide, il divario alimentare. Perché dall’altra parte il bicchiere si sta svuotando rapidamente. Nel senso che si è registrato un drammatico aumento della povertà economica e quella alimentare – numero di persone assistite con pacchi o buoni o altre forme di aiuto diretto e indiretto – che ha quasi raddoppiato i numeri del periodo pre-Covid: l’Istat stimava nel 2018 4,6 milioni di individui in povertà assoluta in Italia, e 8,8 milioni in povertà relativa), Peraltro, un censimento reale dei poveri alimentari è molto difficile da fare perché una buona parte dei “nuovi poveri” sfugge alle misure di aiuto in quanto lavoratori in nero. Inoltre, alla “categoria” legata alla povertà alimentare va aggiunta quella parte della popolazione in povertà relativa e assoluta, che nel 2019 riguardava rispettivamente 9 e 5 milioni di persone. Nell’incrocio fra esperienze nazionali e internazionali è nata il 5 febbraio 2021, in occasione dell’VIII Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, la proposta di lanciare in Italia il Recovery Food. Si tratta di un programma volto a migliorare l’efficienza del sistema agroalimentare riducendone l’impatto ambientale anche attraverso la riduzione di perdite e sprechi alimentari (sostenibilità); ad incrementare il recupero delle eccedenze a fini caritativi (solidarietà); a promuovere attraverso l’educazione alimentare e ambientale l’adozione di diete alimentari salutari (salute). Il Recovery Food consentirebbe un passo “triplo” verso la sostenibilità del nostro Paese.

Vale la pena di approfondire una delle misure proposte per incrementare il recupero solidale a beneficio di chi non ha accesso al cibo, ovvero rendere obbligatoria la donazione degli alimenti invenduti nella filiera agroalimentare, in particolare a livello della grande distribuzione. La donazione obbligatoria sembra un ossimoro, ma in questo momento è ciò che servirebbe all’Italia.