I fucili sono puntati. Sia in Italia che in Europa. Se lunedì prossimo venisse varato il governo Lega-M5S, è assai probabile che la comunità finanziaria italiana e internazionale aprirebbe il fuoco senza complimenti. I segnali dell’apertura delle ostilità erano già presenti ieri e nei giorni scorsi a piazza Affari, ma il nervosismo dei mercati è ancora contenuto.

I soloni delle principali piazze finanziarie sono in attesa di capire che cosa succederà lunedì mattina ma è evidente che il nervosismo è alle stelle, gli operatori sono pronti a schiacciare il pulsante sul selling, sulle vendite massicce, anche a costo di far salire lo spread e dunque i tassi di interesse. Gli annunci sulla nazionalizzazione di Mps e su provvedimenti senza copertura certa, terrorizzano le casematte della finanza e gli uomini di Bruxelles per gli effetti che potrebbero avere sulla finanza pubblica e dunque non è escluso che i principali centri di potere economico finanziario mettano in campo le armi pesanti come avvenne nel 2011 con l’avvento di Mario Monti. È vero che allora l’economia mondiale era nel pieno della più grave crisi economica e finanziaria del dopoguerra mentre oggi si intravede una timida ripresa, ma è altrettanto vero che gli ultimi dati congiunturali in Europa non fanno ben sperare. I primi scricchiolii sono stati denunciati da Mario Draghi e nei giorni successivi la febbre ha cominciato a risalire grazie anche al rallentamento dell’economia cinese, ai dazi imposti da Donald Trump e all’impennata del petrolio che ieri a causa della crisi iraniana è tornato a 80 dollari al barile, facendoci dimenticare che poco tempo fa aveva toccato quota 50.

A Piazza Affari tutto ciò ieri era ben visibile. Il Ftse Mib è caduto dell’1,4% mentre lo spread btp-bund ha sfondato la pericolosa quota 160, considerata la zona a rischio. Il nostro decennale rendeva il 2,22% allontanandosi sempre di più da quello tedesco. Tra gli investitori ci sono timori per le ingenti spese previste nel contratto messo in rete dal M5S e in piazza dalla Lega e per i pericoli che non ci sia copertura. L’affare Mps e i timori di una nazionalizzazione oltre a far imbestialire il ministro Carlo Padoan hanno affondato i titoli bancari, messi sotto pressione dal rialzo dei rendimenti dei btp: Ubi ha ceduto il 5,8%, Bper il 5,7% e Banco Bpm il 5,3%. Pesanti anche Poste (-3,8%), Intesa (-2,7%) e Unicredit (-2,5%) mentre restava debole Mps (-2,3%) dopo la debacle di ieri l’altro. Continuano le vendite anche su Tim (-2,3%), con Berenberg che definisce la società «disordinata come al solito» e la taglia a sell, con target price a 0,66 euro. Neppure i dati sulla produzione sono consolanti. A marzo l’indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni diminuisce dell’1,2% rispetto a febbraio e c’è un calo anche su base annua: l’indice corretto per gli effetti di calendario scende del 4,7% (-8% l’indice grezzo).

A dir poco curioso il fuoco amico di Forza Italia sul possibile governo Di Maio-Salvini. Fino a pochi giorni fa lo spread era un’invenzione, l’arma segreta con la quale nel 2011 la finanza internazionale aveva compiuto un colpo di stato contro Berlusconi. Ora non solo l’interessato ma il fedelissimo Renato Brunetta ritengono che la crescita della spread, provocata dal programma di governo, sia all’origine dell’incombente crisi finanziaria. Berlusconi è diventato europeista spinto: «Nessun complotto contro Di Maio e Salvini», afferma candido. La nota di Brunetta è eloquente: «La pubblicazione del contratto di governo sottoscritto da Lega e M5S e le recenti dichiarazioni del responsabile economico della Lega Borghi sulla necessità di nazionalizzare Mps e cambiare i suoi vertici ha scatenato il panico sui mercati finanziari. È palese che i mercati finanziari non temono più soltanto l’incertezza congiunturale che grava sull’economia italiana ma anche, e soprattutto, che il governo populista Lega-M5S in via di definizione possa rappresentare una strategia di medio-lungo periodo di politica e potere».