Tra gli appuntamenti in programma alla fiera della piccola e media editoria Più libri più liberi, che si terrà alla Nuvola di Roma dal 4 all’8 dicembre, ce n’è uno il cui titolo suona così: L’Italia s’è desta (ed è in ascolto): Nielsen IQ presenta i dati 2021 sul consumo di audioentertainment in Italia (6 dicembre, ore 11, Sala Aldus).
Audioentertainment? Siamo sicuri che Plpl sia il luogo giusto per ospitare un incontro dove si parlerà di «intrattenimento uditivo»?, si chiederanno perplessi le lettrici e i lettori abituati a pensare al libro come a quello che il dizionario Treccani  continua a definire, alla prima voce, un «complesso di fogli della stessa misura, stampati o manoscritti, e cuciti insieme così da formare un volume, fornito di copertina o rilegato».

Spiace dirlo, ma quelle lettrici e quei lettori (e forse pure il dizionario Treccani) non si sono accorti che, ben oltre l’ormai obsoleta contrapposizione fra carta e digitale, l’idea di lettura si sta modificando e il settore dei «libri per le orecchie», e più in generale dei podcast, un tempo nicchia ristretta, ha assunto nell’industria editoriale un ruolo sempre più rilevante. Ne è la dimostrazione una notizia solo all’apparenza marginale rilanciata nei giorni scorsi da Todd Spangler su Variety: il maggiore provider di streaming musicale nel mondo, la svedese Spotify, ha avviato l’acquisizione di Findaway, importante distributore statunitense di audiolibri digitali con sede nella minuscola cittadina di Solon, Ohio.
Anche se i termini dell’accordo non sono noti, è evidente che la procedura ha tempi molto rapidi: un comunicato nel sito di Findaway specifica infatti che, una volta superati i controlli di rito, «la transazione dovrebbe chiudersi nel quarto trimestre del 2021». E Spangler chiarisce bene i motivi della mossa di Spotify: «mettersi in concorrenza diretta con Audible di Amazon, attualmente il più grande operatore nel settore degli audiolibri», dopo avere già occupato il territorio dei podcast con le acquisizioni di Gimlet, Anchor, Parcast e The Ringer.
Grazie all’accordo, Spotify – che lo scorso settembre secondo Wikipedia contava su un totale di oltre 380 milioni di utenti attivi mensili – potrà utilizzare l’infrastruttura di Findaway per ampliare enormemente il suo catalogo di audiolibri: sono 325.000 i titoli di editori di tutto il mondo distribuiti dall’azienda di Solon, cui si aggiungono AudioEngine (un mercato di audiolibri riservato agli operatori del settore) e la piattaforma di self-publishing Findaway Voices.
Comprensibili, in questo contesto, i toni trionfalistici adottati da Spotify: con l’acquisizione di Findaway, proclama Gustav Söderström, responsabile dell’area ricerca e sviluppo della compagnia svedese, «ci aspettiamo di rivoluzionare lo spazio degli audiolibri come abbiamo fatto con la musica e i podcast». E ancora: «Ci ripromettiamo di essere il punto di riferimento per tutto quello che riguarda il settore audio, sia per gli ascoltatori sia per i creatori di contenuti, e Findaway ci aiuterà a soddisfare più presto questa ambizione». Ed esultante si dichiara anche Mitch Kroll, fondatore e amministratore delegato di Findaway, convinto che l’accordo con Spotify offrirà «l’opportunità di innovare e democratizzare l’ecosistema degli audiolibri».
Per sapere se l’entusiasmo è giustificato, e quali saranno – se ci saranno – le ripercussioni sul mercato italiano, dovremo aspettare. Ma nell’attesa sarà interessante sentire quanto si dirà all’incontro sull’audioentertainment di Più libri più liberi, organizzato – guarda caso – dal gigante che Spotify intende abbattere: Audible (cioè Amazon). Intanto, il campo di battaglia è chiaro: le nostre orecchie.