Un altro «pacchetto». Dieci emendamenti presentati dal governo e firmati 5 Stelle al disegno di legge sul cosiddetto «codice rosso», quello che dovrebbe accelerare la tutela delle donne imponendo ai magistrati di sentire chi denuncia una violenza domestica e di genere entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato. Norma contestata perché prevista a costo zero, cioè senza quei rafforzamenti di organico nelle procure che potrebbero fare della novità uno strumento effettivamente praticabile e utile. I 5 Stelle adesso – cioè tre mesi dopo il deposito del disegno di legge e nel momento in cui sta per concludersi l’esame in commissione alla camera – ci aggiungono un generalizzato aumento di pene per tutti i reati con i quali si manifesta la violenza di genere. Il ministro si offre alla vetrina di Repubblica e si presenta in conferenza stampa per farsi paladino delle donne. Ma si dimentica di essere stato proprio lui, i suoi uffici quanto meno, a scrivere nella relazione della legge sul «codice rosso» che «per garantire una più efficace e tempestiva tutela della vittima» si giudicava preferibile agire «sul piano processuale e organizzativo» invece che intervenire «in una prospettiva repressiva sulla scia dei precedenti interventi legislativi». Più che l’efficacia ai 5 Stelle interessa la propaganda.

Anche l’appello a «tutte le forze politiche» perché si accodino ai grillini nel votare le loro proposte – «sarebbe bello se queste norme non avessero colore» ha detto il ministro – è poco credibile. Perché in commissione c’è stato il rifiuto da parte della maggioranza e della relatrice (la 5 Stelle Ascari) di partire da un testo condiviso che tenesse conto delle proposte – più complete – presentate dal Pd e da Forza Italia. Si è preso invece il testo del governo, quello che il ministro ha raccontato di aver scritto assieme alla collega Bongiorno della Lega. I magistrati ascoltai dalla commissione ne hanno evidenziati i limiti. Obbligare i pm a sentire entro tre giorni chi denuncia una violenza, senza possibilità di delega alla polizia giudiziaria – ha spiegato ad esempio la procuratrice aggiunta di Catania Marisa Scavo – avrebbe «inevitabili ricadute negative sul lavoro delle procure con serie difficoltà applicative … l’obbligo di sentire la persona offesa in tempi così ristretti non sempre è conforme all’interesse della stessa … è piuttosto necessario metterla in contatto con i centri antiviolenza e i servizi sociali, attivare la rete per metterla in protezione».
Il «pacchetto» grillino prevede cospicui aumenti di pene già alte: 7 anni per stalking invece di 5; 12 anni per la violenza sessuale invece di 10; 24 anni per la violenza sessuale sui bambini invece che 14 e l’introduzione di un nuovo reato con pena massima a 14 anni per chi sfigura la vittima. In aggiunta si prevedono maggiori misure di sorveglianza dei violenti e si estende il braccialetto elettronico, norme anche in questo caso a costo zero e dunque prevedibilmente destinate a restare sulla carta.

Infine il ministro, prendendo spunto da recenti casi di cronaca, ha voluto ascrivere anche una delle leggi bandiera della Lega, quella che esclude il rito abbreviato per i reati punibili con l’ergastolo, nell’elenco delle misure contro la violenza di genere. Prima di lui lo aveva già detto Salvini, l’8 marzo. Ma è vero il contrario, come ha spiegato da tempo l’Associazione magistrati. I parlamentari lo sanno, perché hanno ascoltato l’ex procuratore di Milano Bruti Liberati che, tra le tante critiche alla legge, ha fatto presente in commissione al senato che «il maggior carico delle corti di assise (che senza l’abbreviato vedranno le udienze aumentare dell’80%, ndr) determinerebbe una conseguenza negativa a cascata sui tribunali e le corti di appello che non potranno comporre i collegi che giudicano i reati ordinari». Il che significa tempi più lunghi per processare gli autori di violenze e rischio prescrizione.

«La maggioranza va avanti con forzature e colpi di mano, prima imponendo uno scarno testo base e ora annunciando emendamenti della relatrice. Questo modo di procedere è inaccettabile perché impedisce ogni confronto e mette le opposizioni davanti al fatto compiuto», ha detto il capogruppo del Pd in commissione giustizia Bazoli. «Il contrasto alla violenza di genere non può essere affrontato solo con l’inasprimento delle pene – hanno detto Laura Boldrini di Leu e Lucia Annibali del Pd – avevamo presentato emendamenti sul percorso psicologico di riabilitazione dei condannati, revenge porn, introduzione del reato di molestie sessuali, coinvolgimento dei centri antiviolenza ma su nessuno c’è mai stata un’apertura dalla maggioranza».