In sala non è uscito La ballata di Buster Scruggs dei fratelli Coen – da ieri disponibile su Netflix – neanche con una programmazione limitatissima come era stato per 22 luglio di Paul Greengrass, un altro dei titoli Netflix presentati in concorso alla scorsa edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Una decisione nata dal «braccio di ferro» degli esercenti con la piattaforma streaming – ma anche poco avveduta dato che La ballata di Buster Scruggs avrebbe senz’altro attirato in sala un pubblico che preferisce vedere i film di registi molto amati come i Coen sul grande schermo anziché sulla tv di casa. E all’indomani del decreto firmato da Bonisoli è quasi certo che la stessa sorte toccherà a dicembre al vincitore del Leone d’oro Roma di Alfonso Cuaron, un altro titolo che avrebbe meritato la possibilità di una fruizione sul grande schermo.

La ballata di Buster Scruggs dunque, ironico Spoon River nel mito della frontiera e nel west di fondali, canyon, indiani e carovane dei set western, dal classico John Ford al western spaghetti, da Sergio Leone – i cui film come hanno raccontato i Coen sono stati i primi che hanno visto al cinema: «Li abbiamo adorati» – a Bud Spencer e Terence Hill, tutto narrato dalle loro voci. Figure leggendarie e fantasie.

COLT, DUELLI, partite a carte, saloon, sogni, imbrogli. Freaks sbattuti su quattro tavole di un palcoscenico improvvisato per guadagnare qualche dollaro, la caccia all’oro, la wilderness perduta. E quel destino che nelle ballate è sempre «cinico e baro» e che si pianta come una pallottola in mezzo agli occhi.
Cowboy canterino e tiratore imbattibile il Buster Scruggs del titolo col suo vestito bianco da cantante di varietà o il personaggio di un musical cavalca tra i villaggi sconosciuti lasciando dietro di sé i cadaveri di chi ha osato sfidarlo. Lo chiamano «l’usignolo di San Saba» per la sua voce, ammazza e canta, è quasi leggendario solo che c’è sempre qualcuno più bravo prima o poi, non si può mica sempre arrivare primi …

Sei episodi che a differenza di quanto si è detto non erano stati pensati come una miniserie – «Il film che avete visto è esattamente quello che volevamo fare, non esiste una versione alternativa» avevano puntualizzato i registi a Venezia – in cui si declinano diverse sfumature di una commedia fino al tocco gotico sempre senza lasciare ai personaggi alcuno scampo. Non sfuggono a ciò che li aspetta, inatteso e feroce appena tirano un sospiro di sollievo, quel destino li acciuffa implacabile con una corda al collo o un colpo di pistola fuori posto.

UN RAPINATORE maldestro (James Franco), una ragazza in viaggio con la carovana (fordiana) – è Zoe Kazan, stupenda – un cercatore d’oro nella Valle dell’Eden che somiglia a una scena in Virtual Reality, una carrozza misteriosa in corsa verso una destinazione ignota, reinventano l’epopea nell’universo poetico molto nero dei due fratelli, che si divertono a unire riferimenti e citazioni con dosaggio perfetto.

RISATA, SORPRESA, beffa: il west (e il western) dei Coen è attraversato dalla malinconia di quando tutte le storie sono già state raccontate (c’è solo un pugno di storie…) si può soltanto scompigliarne il corso, divertirsi a spostare i frammenti per tradire l’«happy end». Ci voleva la loro intelligenza – e quel gusto di decostruire i generi – per affrontare la sfida. Nel tempo straniato del loro racconto quel paesaggio così familiare diviene altro, quasi lo vedessimo per la prima volta come quando si leggono le fiabe nella versione non addomesticata, con la dolcezza cupa delle ballate perdute.