Dopo l’esplosione del «caso Pell», il prefetto degli Affari economici della Santa Sede «in congedo» da quando gli è arrivata l’incriminazione per presunti reati di abusi sessuali su minori al tempo in cui era sacerdote a Ballarat, non si spengono i riflettori sui vertici della Santa Sede.

È notizia ufficiale di ieri che il papa ha deciso non rinnovare il mandato quinquennale del card. Gerhard Ludwig Müller come prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede (ex Sant’Uffizio). Si tratta di una decisione di rilievo dal momento che stiamo parlando di uno dei principali dicasteri della Curia romana (occupato da Joseph Ratzinger per oltre vent’anni), che ha il compito di vigilare sull’ortodossia dottrinale.

Lo è ancora di più di se consideriamo che Müller, nominato nel luglio 2012 proprio da papa Benedetto XVI e fatto cardinale da Francesco nel primo concistoro del febbraio 2014, si è distino per la sua distanza (mai nascosta) dal rinnovamento impresso dal papa argentino: dalla pastorale sulla famiglia alla riforma dell’istituzione curiale. Nell’ottobre 2015 aveva firmato insieme a altri tredici cardinali una lettera al papa in cui si esprimevano alcune «preoccupazioni» sui rischi per la dottrina provenienti dal Sinodo dei vescovi sulla famiglia e in particolare circa l’«Instrumentum laboris» posto a base della discussione e la natura della «Relatio finalis».

Subito dopo aveva sostenuto in una serie di interviste che l’esortazione post-sinodale «Amoris laetitia» non avrebbe modificato la dottrina della Chiesa, in particolare per ciò che riguarda i divorziati risposati. Posizioni sostanzialmente ribadite in un libro pubblicato nel 2016 da Ares, casa editrice dell’Opus Dei, in cui aveva contestato il lavoro intrapreso da papa Francesco anche a livello di semplificazione degli apparati e delle diocesi. Recentemente, infine, avevano fatto scalpore le dimissioni di Marie Collins, vittima di abusi e attivista irlandese, da membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori per contestare il boicottaggio della Commissione stessa in particolare da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede. In quell’occasione, il cardinale aveva risposto in modo piuttosto sprezzante e liquidatorio alle accuse rispedendo al mittente tutte le obiezioni e mettendone in dubbio la veridicità.

Nel giro di appena tre anni Müller è diventato così il bersaglio di critiche molto pensanti – si veda la richiesta di dimissioni del movimento internazionale Noi Siamo Chiesa – e un punto di riferimento per gli ambienti tradizionalisti che portano avanti l’opposizione a Bergoglio. Non è certo casuale quindi che la notizia sia arrivata all’opinione pubblica attraverso due siti tradizionalisti, uno in Italia e uno negli Stati Uniti, costringendo la Santa Sede ad accelerare la comunicazione ufficiale. La decisione di un cambio della guardia alla testa della Congregazione si inserisce in un clima molto teso nella curia romana, che sta attraversando una fase di ristrutturazione tanto a livello organizzativo – si pensi per esempio all’istituzione del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, sotto la guida del card. Peter Turkson, uno degli uomini più vicini al pontefice – quanto, e di conseguenza, nella composizione della classe dirigente. Da quanto si apprende, Müller avrebbe rifiutato l’offerta di un altro incarico a Roma, preferendo ritirarsi.

Al suo posto, comunica il bollettino della Sala stampa vaticana, andrà mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, gesuita spagnolo, arcivescovo titolare di Tibica, segretario della medesima Congregazione dal 2008 e dal 2016 e presidente della commissione sulla questione del diaconato femminile. Come è stato messo in evidenza da diversi osservatori, anche se il mancato rinnovo di un Prefetto dell’ex Sant’Uffizio è un fatto senza precedenti recenti,  la scelta di Ferrer, noto per le sue posizioni conservatrici, non può certo essere presa come una svolta in «senso progressista» di quella è da sempre un’istituzione finalizzata al controllo del dibattito teologico interno e, in molti casi, alla repressione del dissenso. Non c’è dubbio però che con la caduta di Müller, a breve distanza dalla nomina del nuovo presidente della Cei, prosegua lo spoil system di Bergoglio: un processo necessario e anche consuetudinario nella Chiesa, ma che inevitabilmente alzerà il livello dello scontro con l’opposizione interna e esterna alla curia.