Coreografo, l’uno, musicista, l’altro, Jonathan Burrows e Matteo Fargion, creano una coppia esilarante, ironica e trascinante, apprezzata in giro per il mondo. Inglese, il primo, e italo-inglese, il secondo, da trent’anni danno vita a performance di precisione millimetrica dal ritmo sincopato e coinvolgente, con una ripetitività spiazzante e poi catalizzante, fino a ritrovarsi a battere il tempo con testa e piedi, catapultati all’interno del lavoro. Assenti da un paio di decenni, il duo torna nella Capitale su chiamata del coreografo Michele Di Stefano – fondatore della compagnia MK – neo referente per la danza nell’assetto «nazionale» del Teatro di Roma, che appunto per decreto ministeriale ha l’obbligo di organizzare un cartellone coreutico. Nasce così il progetto Grandi pianure, che ha visto la prima parte – Tropici – svolgersi in maggio all’Angelo Mai – discusso spazio autogestito e sempre in bilico chiusura – per approdare ora nel «tempio» della contemporaneità scenica, il Teatro India, e poi in autunno addirittura tra i velluti dell’Argentina. Ed è nella sala B di India – salvata dal deformante restauro subito dalla A- che la coppia Burrows-Fargion si è esibita per due sere con tre pezzi di repertorio, capaci di mandare in visibilio l’accaldata platea.

Si parte con Both sitting duet, quarantacinque minuti in cui quattro mani e altrettante braccia si muovono all’unisono o in dissonanza, svolazzando nell’aria per poi strusciare sul corpo, quasi a scrollarsi di dosso gli accumuli negativi, un po’ alla maniera del qi gong cinese, con una calma placida e insieme una tensione straordinaria, esaltata dalla posizione seduta dei due performer. Mani che tamburellano sulle gambe, sulle braccia e sul tronco, mentre gli occhi leggono le rispettive partiture, basate sulla composizione For John Cage di Morton Feldman, che, lasciate poi a disposizione degli spettatori, si presentano redatte ciascuna con il proprio linguaggio, una sequenza di numeri per Burrows e uno spartito di note per Fargion. Quasi in transe, dopo questo viaggio introspettivo, Body not fit for purpose arriva a risvegliare lo spirito di rivolta, infilando una a una con il sorriso tra i denti tutte le nostre istanze, i conflitti etnici ed economici, le ingiustizie e le aberrazioni della contemporaneità.

Per poi chiudersi con la dedica al padre di Borrows, il quale per il suo decimo compleanno gli regalò Il manifesto del partito comunista e il Libretto rosso di Mao. E si ride anche la seconda sera con Speaking dance, ancora una riflessione ritmata su ciò che accade e sulle nostre inadeguate reazioni.